Da Almodóvar a Leo l’orgoglio gay fa cassetta

Il regista spagnolo lancia La pelle che abito e Clint Eastwood sta preparando l’atteso J. Edgar con Leonardo "en travesti"

Da Almodóvar a Leo 
l’orgoglio gay fa cassetta

«Quante cose sa l’uomo d’oggi! E come - quanto più sa - più è paralitico! Il suo odio per i segreti non ha limiti; perciò egli non produce più segreti, solo incomprensioni». È una riflessione di Anna Maria Ortese, datata 1969 (Da Moby Dick all’Orsa Bianca, Adelphi) e che adesso, unitamente ad altre fulminanti intuizioni della grande scrittrice sull’«acquisto in massa delle intelligenze e coscienze», calza come un guanto alla scena omosessuale. Mai come ora sotto i riflettori dei media, che ne spiano ogni appartenenza, ogni nuova iscrizione a un Albo mentale, fattosi Verbo via Web, con la recente lista dei dieci politici italiani suppostamente gay in pasto agli internauti golosi.
Ma non c’è solo tale tendenza Assange di risulta, a dominare, in Rete, la questione privata dell’identità sessuale: a drammatizzare l’orientamento dei corpi-massa provvede anche il cinema. Due registi europei raffinati, lo spagnolo Pedro Almodóvar e la francese Céline Sciamma, vogliono capire ciò che siamo «noi uomini e donne di questo tempo stravolto», direbbe la Ortese. E lo fanno partendo da un particolare, elevato a narrazione universale: nell’almodovariano La pelle che abito, il protagonista Vicente subisce una vaginoplastica e, nel finale drammatico, corre dalla madre col sembiante della ragazza Vera, supplicando d’essere riconosciuto. «Mamma, sono Vicente!», sussurrano labbra ardenti di rossetto, mentre un abito a fiori stringe un corpicino, che un tempo era corpo di maschio.
In Tomboy (in inglese «maschiaccio») della Sciamma, invece, una bambina di dieci anni, Laure, vuole essere Mickael a tutti i costi: attratta dalla coetanea Lisa, la protagonista spinge sua sorella a tagliarle i capelli sempre più corti, ma non troppo, perché poi la mamma se ne accorge, mentre in cortile i ragazzini l’aspettano per la partita di pallone. Sebbene ormai sia chiaro urbi et orbi che maschi e femmine in formazione non sono del tutto privi di malizia, qui l’asticella s’alza, assumendo valore di soglia. Esagerazione che in Francia, comunque, ha fruttato a Tomboy 260mila spettatori e in Germania un Teddy Award alla scorsa Berlinale: segno evidente d’un calcolo artistico non privo di perizia commerciale. La lobby omosessuale cerca conferme anche nel mondo degli affari. In Italia la Sciamma è poco nota, nonostante abbia vinto il Festival Gaylesbico di Torino, proprio con questo film, ma l’Ambasciata di Francia a Roma domani metterà a disposizione Palazzo Farnese per l’anteprima del discutibile Tomboy. L’identità sessuale come gioco e convenzione risulta poi singolarmente sottolineata, nei film di Almodóvar e Sciamma, da un registro hitchockiano molto evidente nella domanda thriller: alla fine il protagonista uscirà maschio, o femmina? Nel novero della gayezza drammatica è poi atteso J. Edgar di Clint Eastwood con Di Caprio en travesti.
In tanta attenzione ai dettagli dello stato di natura, c’è chi rimpiange i beati anni d’una certa eleganza, di una precisa sprezzatura nei confronti d’una materia così delicata. Basti pensare a In&Out di Frank Oz (1997), con la scena in cui Kevin Kline, professore serioso, fino alla rivelazione d’omosessualità fatta da un suo allievo, balla sulle note di I will survive, di Gloria Gaynor.

Quella leggerezza disincantata cede ora il passo alla più cruda volontà di denuncia: il bisturi e la crema vaginale esibiti ne La pelle che abito è quanto di più lontano da quel non so che di divertito e sotteso, circolante ai primi tempi delle rivendicazioni gay. E quanto di più lontano anche dalle liste. Non resta che aspettare la commedia Amici di letto (dal 14 ottobre) di Will Gluck, con un sex-symbol come Justin Timberlake forse che sì, forse che no.

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