Se il 10% che manca a raggiungere l'accordo di pace in Ucraina è rappresentato da quanto pensa, dice, fa e farà la Russia, allora forse le percentuali di successo del piano Euro-America-Ucraina sono state un tantino troppo ottimistiche. L'opera di convincimento di Trump, e dei suoi emissari, nei confronti di Zelensky ha funzionato quasi in toto, quella nei confronti di Putin si prospetta più complicata. A poche ore dal documento redatto al summit di Berlino, il Cremlino ha iniziato a piazzare i suoi se, i suoi ma e soprattutto i suoi niet. No a una soluzione senza tutto il Donbass in mano russa, assolutamente no alle truppe internazionali sul campo e smentita sul fatto che Trump abbia telefonato a Putin dopo essere intervenuto da remoto al meeting tedesco. Nonostante ciò, il Cremlino parla di "accordo vicino", anche se su quali basi al momento sembra complicato capirlo.
Le condizioni russe rimangono le stesse, da sempre: o tutto o tutto. Senza concessioni. E l'intervento dell'Europa che sembra aver convinto Trump a virare su posizioni più filo Kiev, viene visto come fumo negli occhi. "La partecipazione europea, in termini di accettabilità dell'accordo da parte di Mosca, non promette nulla di buono", ha ammesso il portavoce di Putin Dmitry Peskov. E se il viceministro degli Esteri Sergej Ryabkov dice che "siamo pronti a raggiungere un accordo il prima possibile", anche lui parlando di 90% delle questioni sul tavolo risolte, poco dopo fa dietrofront e cambia registro. "Non sottoscriveremo, accetteremo o saremo nemmeno soddisfatti di alcuna presenza di truppe Nato sul territorio ucraino", attacca. E aggiunge: "Non possiamo assolutamente scendere a compromessi sui territori". Non esattamente un manifesto volto al compromesso.
Ma nemmeno le dichiarazioni del day after di Volodymyr Zelensky sono del tutto allineate con il partito dell'ottimismo. Il leader ucraino ha fatto sapere che le proposte negoziate con i funzionari americani potrebbero essere finalizzate entro pochi giorni e poi presentate ai russi. "Dopo due giorni di lavoro, abbiamo sviluppi rilevanti", ha detto per poi soffermarsi sul punto più complicato, quello relativo alla cessione di territori da parte ucraina, in particolare quelle aree di Donbass che Mosca rivendica pur non avendole conquistate sul campo. "Vogliono il nostro Donbass. E noi non vogliamo cedere il nostro Donbass", ha detto in maniera netta. Il piano stilato a Berlino prevede sì concessioni territoriali ma non totali come preteso da Mosca. L'Ucraina cederebbe infatti buona parte della regione orientale del Donbass ma non tutta, con la Russia che ha già occupato quasi tutti i villaggi del Luhansk, mentre Kiev controlla ancora buona parte del Donetsk, tra cui le città chiave di Sloviansk e Kramatorsk. Le forze ucraine si ritirerebbero, creando una zona demilitarizzata, quindi non nel pieno controllo di Mosca. "Gli americani vogliono trovare un compromesso, offrono una zona economica libera, il che non significa sotto la guida della Federazione Russa", ha ribadito Zelensky, sottolineando che "né de jure né de facto riconosceremo il Donbass come russo", confermando che sul punto restano le distanze. Per quanto riguarda la creazione di una forza multinazionale, il leader ucraino spiega che "molti Paesi sono davvero pronti ad aiutare", prospettando diversi ruoli in campo, dalla logistica all'intelligence, fino allo schieramento di truppe. Proprio quello che Mosca rifiuta categoricamente.
Distanze, tanto che ancora Peskov chiude all'idea di una tregua natalizia dicendo che "soluzioni a breve termine che non sono fattibili" e che la pace arriverà dopo che la Russia avrà raggiunto i suoi obiettivi. Un 10% da limare che sembra simile a un macigno.