nostro inviato a Monza
Era teso, tirato, con gli occhi grandi da cartone giapponese fissi su due punti lontani e al tempo stesso vicini: la sua macchina e il suo pubblico. Punti rossi assetati di soddisfazioni. Fernando Alonso ha fatto su e giù con lo sguardo, più volte, verso l’auto e verso il pubblico, auto e pubblico, poi un piccolo cenno ai ragazzi del box e via, di nuovo in pista, per il Q3 finale nell’arena infuocata di Monza.
Tutti dietro, da Button a Massa, da Webber a Hamilton e Vettel, e pole numero diciannove per lui e pole monzese numero diciannove per lei, la Ferrari. Un risultato che mancava ai ragazzi di rosso vestiti da quasi due anni, fine 2008, Brasile, Gran premio meravigliosamente vinto da Massa e mondiale disperatamente perso sempre da Massa per colpa di un fottuto destino. Una pole che arriva nella corsa di casa e nel momento più difficile e importante dell’anno: perché ieri era vietato sbagliare come lo sarà oggi. E perché Alonso sapeva e sa bene che non sono concesse distrazioni davanti al pubblico più pubblico del Cavallino e innanzi ai tifosi più tifosi della Rossa: il presidente della Ferrari Luca di Montezemolo e il presidente del Gruppo Fiat, John Elkann. Tanto più che lo spagnolo, fin dal mattino, aveva compreso che il presidente tifoso era pronto a salire - come poi fatto - sul muretto a incitare di felicità il pubblico aggrappandosi alle reti. Non solo: aveva intuito che i due presidenti, ultrà in giacca, cravatta e fazzoletto al taschino, si sarebbero abbracciati e baciati di felicità, scompigliandosi i capelli, gli umori e, massì, persino i fazzoletti nei taschini.
«Questo risultato vale quadruplo» dirà Montezemolo raggiante, «perché lo attendevamo dal Brasile 2008, perché l’abbiamo ottenuto davanti alla nostra gente, perché arriva in un momento molto delicato della stagione e nel giorno in cui è qui con noi John Elkann che magari così verrà sempre…». E mentre parla, l’asturiano da cui tutto dipendeva e dipende se ne sta nel garage Fia appoggiato a una transenna con un gomito quasi fosse James Dean prima di salire in moto o un Fonzie dei motori che dice “ehi ragazzi”. «Sembra Schumacher», confiderà Montezemolo, «sì, me lo ricorda, ha fatto un gran giro, se li è messi tutti in fila, è molto forte in gara, sa fare gruppo in fabbrica, sta sempre a Maranello, non se la tira più di tanto».
Vero come vero che Fernando pare addirittura riposatissimo mentre i piloti accanto a lui si asciugano la fronte imperlata di fatica. Massa, ad esempio, scuro in viso come sempre dal sorpassaccio di Germania e «però che gran giro ha fatto anche lui…», lo consolerà il presidente tifoso tra un cazziatone a Lauda per aver criticato la Ferrari a Hockenheim («Niki, ma ti sei rincoglionito?») e uno slalom alle domande trabocchetto sulla politica.
Anche se in questo sabato monzese chissenefrega della politica e di tutto ciò che non odori esplicitamente di motori e cilindri e pistoni. Persino il divo Hugh Grant in visita pastorale con la mano griffata a pennarello con impressi i numeri delle fan, persino l’ospitata in casa Ferrari di Briatore paiono storie di contorno. Anche se vale qualche futuro approfondimento il siparietto di Montezemolo che si affaccia mentre Flavio parla ai giornalisti e gli urla sorridente dal motorhome «basta con tutte queste frottole…» e l’ex patron Renault ribatte «ah, eccolo il mio prossimo datore di lavoro… no, scherzo…».
E avanti così, in questo non ordinario giorno di giubilo maranelliano reso ancor più festante dalla cabala dei tempi: Massa terzo e non secondo vuol dire una prima fila tutta rossa mancata, ma vuol dire anche un casino in meno tra ferraristi alla prima staccata. Come dire: festa quasi completa. Attendendo oggi.