Politica

Altolà di Forza Italia a Prodi «Niente incarico anticipato»

Il Professore vuole il mandato da Ciampi entro il 13 maggio. Ieri sera vertice Berlusconi-Bossi

Adalberto Signore

da Roma

Primo passaggio la Camera, secondo il Senato, terzo il Quirinale. In mezzo, o subito dopo, l’incarico a Romano Prodi di formare il nuovo governo. La delicata partita a scacchi tra Unione e Casa delle libertà per riempire le caselle delle più alte carico dello Stato va avanti ormai da giorni, tra frenate improvvise e accelerazioni inattese. Le prime caldeggiate dal centrodestra, le seconde incoraggiate dal centrosinistra, sempre più timoroso che un dilatarsi dei tempi necessari a risolvere il delicato puzzle istituzionale possa logorare il Professore.
La «giacchetta» di Ciampi. Così, mentre Fausto Bertinotti vede sempre più vicina la presidenza della Camera, continuano sottotraccia le trattative per cercare di bloccare la corsa di Franco Marini verso la poltrona più importante di Palazzo Madama. Ma scoppia anche la querelle Quirinale, tutta incentrata sulla tempistica per affidare a Prodi l’incarico. Con il Professore che punta alla cosiddetta «finestra» (dopo la nomina dei presidenti delle Camere e prima del 13 maggio, data ultima per iniziare a votare il nuovo capo dello Stato) e Silvio Berlusconi che tira il freno a mano, in modo da far scavallare Prodi fino alla fine di maggio. Le strategie erano note da tempo, così come le pressioni sul Quirinale del Professore (iniziate un minuto dopo il primo colloquio al Colle) e di tutti i leader dell’Unione. Ma ieri Forza Italia ha sparigliato. E messo nero su bianco la sua netta contrarietà a «qualunque forzatura». In una nota a dieci mani firmata dal portavoce del premier Paolo Bonaiuti e dai quattro colonnelli azzurri Sandro Bondi (coordinatore), Fabrizio Cicchitto (vicecoordinatore), Elio Vito e Renato Schifani (capigruppo di Camera e Senato) si individua infatti un «preciso percorso istituzionale» che, di fatto, chiude la «finestra» dei primi di maggio. «Nei confronti di coloro che cercano ancora di tirare per la giacca il capo dello Stato - si legge nella dichiarazione congiunta - sottolineiamo che quel 50 per cento e oltre del Paese che ha votato per la Cdl ha diritto al rispetto assoluto della prassi costituzionale». E, dunque, «si dovranno eleggere prima i presidenti del Senato e della Camera, quindi il presidente della Repubblica». «Solo dopo - prosegue la nota - potrà essere affidato l’incarico di formare il nuovo governo». E ancora: «Improvvisi colpi di acceleratore nelle procedure potrebbero risultare in contrasto non solo con la prassi istituzionale ma anche con la legge elettorale proporzionale che ha introdotto una spiccata individualità delle singole forze politiche e dei loro gruppi parlamentari». Il messaggio, dunque, è chiaro. E difficilmente Ciampi non potrà tenerne conto, soprattutto se le votazioni per le presidenze di Camera e Senato si dovessero prolungare fino a martedì (ma l’Unione ha già fatto sapere che, eventualmente, si voterà sia domenica che lunedì primo maggio). Rincara la dose Peppino Calderisi, coordinatore dei Riformatori liberali, perché - dice - «è inimmaginabile che possa essere il capo dello Stato uscente a conferire l’incarico». Mentre smussa il portavoce di An Andrea Ronchi secondo il quale il presidente della Repubblica «sa bene cosa deve fare». Dura la reazione dell’Unione. Che per bocca del portavoce di Prodi Silvio Sircana attacca la Cdl che «tira la giacchetta a Ciampi e vuol fare l’agenda del capo dello Stato».
La corsa a Palazzo Madama. Nel borsino delle quotazioni per la presidenza del Senato, intanto, Marini incassa i voti dei tre senatori della Svp. Una decisione presa «all’unanimità» dall’ufficio politico del partito altoatesino riunitosi a Bolzano. Non a caso Prodi (che ha pure incontrato l’ancora indeciso senatore argentino Luigi Pallaro) si dice «ottimista». Fuga ogni dubbio, invece, Marco Follini: «Non ho lingue biforcute, quindi voterò come annunciato per Andreotti». In vista del big match, il diretto interessato continua a tacere. Salvo confermare la candidatura e assicurare sibillino: «A venerdì non ci penso, ci penseremo dopo».
Il vertice. Di queste scadenze hanno parlato ieri sera ad Arcore Berlusconi e Bossi.

All’incontro erano presenti anche Tremonti, Brancher, Calderoli e Giorgetti.

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