Le altre «storie», dietro le quinte della Storia

È un brulicare di persone che si danno da fare all’ombra del tendone

Michela Giachetta

«La storia siamo noi, nessuno si senta offeso». Noi sul palco, noi davanti al palco, noi a casa davanti alla tv o al mare in questo caldo, ma non caldissimo, fine settimana romano. Per carità, nessuno si sente offeso, ma, scusate la pedanteria, la storia sono anche loro. Chi sta dietro le quinte, chi è davanti ai blocchi di ingresso, chi sale e scende da quelle impalcature, con un’agilità che noi non abbiamo nemmeno nello scendere le scale.
Gianni, Mario, Roy sono parte del dietro le quinte, ancora lavorano mentre i cantanti si alternano sul palco. «Abbiamo cominciato ieri (venerdì ndr) e ancora stiamo rifinendo i dettagli», racconta Antonio, palermitano addetto a controllare le luci. Sono le due del pomeriggio mentre parla continua a guardarsi intorno, alla ricerca del dettaglio fuori posto, della nota stonata, della luce «giusta». Noi intanto ci incamminiamo troppo oltre: «Scusi lei dove sta andando?». Alla ricerca del «dietro le quinte». Ma ci siamo già in mezzo e non possiamo spingerci oltre. «Lasciateci lavorare», ci sgrida Mario già troppo stanco, anche se sono «solo» le 5 del pomeriggio. E quando staccate? «Non stacchiamo, andiamo avanti fino alle otto. Di domani mattina». Arrivano altre persone, con scatoloni, macchinari, «cose tecniche», da esperti. Strumenti dappertutto e casse. E uomini. Pochissime le donne dietro al palco. Il dietro le quinte è un brulicare di uomini in nero, al buio e all’ombra dei tendoni. Colore della divisa, quel nero, che stacca coi colori della piazza, con quelle pance all’aria e al sole. Ma è anche sedie di vimini, televisori sintonizzati sul resto del mondo, autorità istituzionali che vanno e vengono. Presente il sindaco Veltroni, in polo verde, che si precipita quando ogni artista finisce di cantare: «Grazie per essere venuto». «Prego, dovere, sa i debiti nei confronti del terzo mondo». «So so». Strette di mano e via alle interviste. Mtv e la Rai la fanno da padrone. Tutto il resto è noia.
O stampa di serie B. Ma il dietro le quinte sono anche i camerini, giornalisti assiepati davanti alle porte del cantante di turno. Alla ricerca di dichiarazioni o di un bicchiere di tè, spumante, succo di frutta fresco. I soliti privilegiati, si sa. Gli artisti arrivano, soli, accompagnati, con il loro stile. Come se andassero a una festa e non a quello che è stato definito, non senza retorica, «evento epocale».
E poi dietro le quinte ci sono gli addetti alle entrate e alle uscite. L’accesso è questione di pass. Il feeling non è richiesto. «Posso vedere il suo tesserino?» È quello giusto, riusciamo ad entrare. Non loro, costretti a stare lì ai vari accessi. Del concerto riescono a sentire solo poche note, «ma sa che le dico?» Mi dica. «Visto uno, visti tutti questi concerti. Dopo tre anni di questo lavoro, la musica preferisci ascoltarla alla radio». Intanto Roy (è il nome di uno dei tanti ragazzi che si occupano della parte tecnica) è chiamato sul palco. Il microfono non funziona.

Corre. Cambia microfono. Torna. Andrà avanti così, finché le luci sul palco non saranno spente. Poi toccherà a chi deve rimettere tutto in ordine. Dietro le quinte, dentro la storia. Anche loro. «Nessuno si senta escluso».

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