Ma gli altri partiti avvertono: «Non ci faremo tagliare fuori»

Roma«La legge elettorale è quanto di più laico ci sia: la nostra proposta scaturirà dopo gli incontri coi partiti». Gaetano Quagliariello, alla vigilia del giro di consultazioni del Pdl con tutte le forze politiche detta una frase che suona come una rassicurazione, come acqua gettata sul fuoco delle congetture. Di fatto, però, tra le forze medio-piccole il timore che Pdl e Pd, i due maggiori partiti, abbiano già trovato un accordo di massima sul cosiddetto modello ispano-tedesco è diffusa. Una proposta che potrebbe essere scolpita sul ddl che ha come primo firmatario il senatore democratico Stefano Ceccanti e che prevederebbe robuste iniezioni di proporzionale con un forte sbarramento sul basso.
La temperatura, dunque, inizia a riscaldarsi. E sono in molti a rilanciare la necessità di un vero dialogo tra le forze politiche. Ieri un invito al confronto è stato lanciato dal presidente del Senato, Renato Schifani. Mentre Gianfranco Fini propone una «conferenza congiunta dei capigruppo di Camera e Senato» per stabilire un calendario delle riforme istituzionali ed elettorale. «Trovo positivo» continua Fini «che Berlusconi dica che il partito democratico è un interlocutore per la nuova legge elettorale. È un segnale inequivocabile di una certa maturazione visto che fino a qualche tempo fa era assertore di un sistema bipolare in cui non c’era sostanzialmente alcun punto di contatto tra le due coalizioni, con tutti i problemi che ciò ha causato».
Il presidente della Camera si sofferma sul metodo piuttosto che sul merito. D’altra parte le aspirazioni del Terzo Polo non sono certo segrete. Per Fini, Casini e Rutelli il «caso Monti» rappresenta una finestra su un futuro di governi modello Prima Repubblica, ossia nati in Parlamento e non nelle urne. Uno scenario che necessita, però, di uno strumento elettorale ad hoc per essere davvero perseguito. Non a caso il capogruppo dei finiani, Benedetto Della Vedova, avverte che la legge elettorale non si cambia nelle segrete stanze dei due maggiori partiti. Allo stesso modo la Lega - che domani a Palazzo Chigi, presente Umberto Bossi, avrà un faccia a faccia con Mario Monti sui nodi politici della legislatura - non nasconde la propria preoccupazione. «Se Pd e Pdl dovessero accordarsi sulla legge elettorale nel tentativo di farci fuori, i cittadini del Nord farebbero pagare caro questo tradimento» dice Paolo Grimoldi. Sul fronte opposto, stessi toni allarmati vengono utilizzati dall’Italia dei valori. «Sono in corso manovre sospette e preoccupanti: fingere di dialogare con tutti per poi decidere da soli è un’involuzione democratica senza precedenti, oltre a essere un insulto al milione e duecentomila italiani che hanno firmato per il referendum» attacca Felice Belisario.
Di fronte alla levata di scudi dei possibili alleati, il Pd frena, prende tempo, rilancia il metodo della collegialità. «Il confronto sulla legge elettorale deve essere il più possibile aperto e ampio, deve avvenire con tutte le forze politiche, senza assi privilegiati con nessuno» dice il presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro. Toni simili vengono adottati da Giuseppe Fioroni. «Il Pd non accetterebbe di lavorare solo con il Pdl.

C’è da chiedersi se Berlusconi intenda aprire alla forze politiche che sono maggioranza numerica in Parlamento per poi coinvolgere anche le altre forze o se stia adottando un doppio linguaggio finalizzato a ulteriori divisioni».

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