Altro che «imbroglio» Da 40 anni il Palazzo smonta i referendum

RomaLa sincerità di Silvio Berlusconi sul referendum antinuclearista e la decisione del governo di attuare una moratoria affinché «dopo uno o due anni si possa avere un'opinione pubblica più favorevole» non rappresentano una novità nella storia delle istituzioni italiane. Già in passato il Parlamento e gli esecutivi si erano affrettati a legiferare per evitare il ricorso alla consultazione popolare. E, in altri casi, il mandato del corpo elettorale è stato ampiamente disatteso.
Eppure l’opposizione di sinistra e i suoi leader, da Bersani a Di Pietro a Vendola, non hanno esitato a utilizzare termini come «inganno», «truffa» e «bluff». Ma solo perché si tratta di Silvio Berlusconi, il loro nemico pubblico numero uno perché nelle loro vite passate sicuramente hanno chiuso un occhio se non tutti e due dinanzi ad analoghe scelte compiute dai loro partiti di riferimento, il vecchio Pci incluso. Difatti l’unico esponente della minoranza che non si è accodato al coro di invettive è il vicepresidente del Senato, la radicale Emma Bonino che di referendum se ne intende. «Berlusconi si è dimostrato un ottimo allievo dei suoi predecessori che erano abilissimi ad annullare i referendum con un escamotage legislativo», ha dichiarato.
Il partito di Marco Pannella è stato il vero propugnatore della consultazione referendaria (nel bene e nel male) e, assieme ad alcune vittorie, ha dovuto subire parecchie sconfitte. La prima fu quella del 1972 quando il capo dello Stato, Giovanni Leone, sciolse anticipatamente le Camere per la prima volta allo scopo di rinviare il referendum sul divorzio. Dc e Pci volevano evitare una spaccatura della società italiana su un tema sensibile per non deteriorare i rapporti che sarebbero successivamente sfociati nel «compromesso storico». Si trattò di una vittoria di Pirro perché nel 1974 gli italiani confermarono la legge.
I casi più eclatanti, tuttavia, si riferiscono alla seconda metà degli anni ’70. Per bloccare il referendum sull’aborto si ricorse nuovamente allo scioglimento anticipato nel 1976 e, successivamente, si varò in fretta e furia la legge 194 nel 1978 che resiste ancor oggi ma è sempre oggetto di critiche sia dai pro-life che dagli abortisti convinti. Passaggio ancor più rapido per la legge Basaglia che chiuse i manicomi. Si ricorse addirittura all’approvazione in Commissione nei giorni tragici del sequestro Moro pur di non lasciare spazio al pronunciamento popolare. Sempre in quell’anno fu varata la riforma della Commissione inquirente sui ministri che limitava i poteri di indagine della magistratura sui componenti dell’esecutivo.
Non era ancora cominciata l’epoca del giustizialismo e il Parlamento difendeva le sue prerogative. Gli ex-comunisti se ne sono dimenticati, ma in quella legge c’era anche il loro zampino. Certo, Berlinguer era di un’altra tempra rispetto al timido Bersani e poteva permettersi di decidere senza rincorrere la piazza forcaiola.
Esclusa l’abolizione dei Tribunali militari, gli anni ’80 hanno invece chiuso l’epoca dell’escamotage per inaugurare quella del tradimento vero e proprio. A partire dal referendum del 1987 sulla responsabilità civile dei magistrati. Approvato con l’80,2%, è stato di fatto annullato dalla legge che ha trasferito allo Stato il compito di rimediare agli errori delle toghe. Alle quali fu riconosciuto un surplus di tutele che oggi li rende più forti rispetto al legislativo e all’esecutivo. Non a caso i radicali lamentano anche la bocciatura da parte della Consulta del referendum sulla spoliticizzazione del Csm.
Nel 1993 ci fu il boom dei marameo al popolo sovrano. Il sistema elettorale maggioritario secco, votato a stragrande maggioranza, fu annacquato con un 25% di proporzionale dal Mattarellum. Il finanziamento pubblico dei partiti fu reintrodotto pochi anni dopo aumentando a dismisura l’entità dei rimborsi spese elettorali. Il «no» al ministero dell’Agricoltura? Liquidato con un cambio di nome: oggi infatti si chiama ministero delle Politiche agricole. Allora non governava Berlusconi e la sinistra sosteneva i fragili esecutivi post-Tangentopoli. Non stupisce che i quotidiani di area non si siano stracciati le vesti.
La strumentalità delle polemiche antiberlusconiane è confermata anche dall’esito di due quesiti del 1995. La privatizzazione della Rai è rimasta carta straccia sotto i governi dell’Ulivo (ma anche le previsioni della Gasparri non sono state attuate).

E anche in tema di lavoro Confindustria e parti sociali hanno riproposto nei contratti le trattenute sindacali obbligatorie a cui i cittadini avevano detto «no». Ma se non c’è Silvio da attaccare, niente sit-in, niente piazzate, niente alzate di sopracciglia di costituzionalisti e politologi. E anche questo dimostra che l’Italia è un Paese malato.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica