Altro che indignati Sono solo bamboccioni

Il più democristiano dei movimenti di protesta chiede "benessere garantito": togliere ai migliori per dare agli inetti

Altro che indignati  
Sono solo bamboccioni

Il più democristiano fra i tanti movimenti di protesta sfilati per le piazze d’Italia è stato momentaneamente offuscato, almeno sui media, dai black bloc e dalle loro devastanti violenze. Ma tornerà presto a farsi sentire, perché le sue ragioni sono radicate nel Paese e perché le sue richieste sono largamente condivise.
Che cosa vogliono infatti gli «indignati»? Citiamo da un’autorevole lettera inviata lo scorso 12 ottobre al presidente della Repubblica: «La questione generazionale è semplice: c’è una generazione esclusa dai diritti e dal benessere. La questione non si risolve togliendo i diritti a chi li aveva conquistati, i genitori, ma riconoscendo diritti a chi non li ha, i figli, e per far questo ci vogliono risorse», cioè più spesa pubblica, cioè più tasse. E infatti gli «indignati» chiedono «una tassazione delle rendite finanziarie, delle transazioni, dei patrimoni mobiliari e immobiliari».

Più Stato e più tasse: ecco la ricetta dei nostri rivoluzionari neodemocristiani. Il cui orizzonte è «una terza Repubblica fondata sui beni comuni e non sugli interessi privati». Un liberale non potrebbe che inorridire a quest’ultima perorazione: la libertà, infatti, è precisamente la possibilità di difendere e far valere i propri interessi privati, materiali e immateriali. Ma qui è questione di pratica, non di teoria: e la pratica è quella dell’assistenzialismo diffuso, del Welfare «pesante» percepito come un diritto, del posto fisso garantito. Gli «indignati» si concepiscono come sudditi che chiedono al sovrano-Stato un’elemosina (una scuola sempre più degradata, una sanità sempre più inefficiente, una pensione sempre più povera, un posto di lavoro sempre più improduttivo), non come liberi cittadini padroni del proprio destino, intenzionati a realizzare i propri desideri e desiderosi soltanto che il governo se ne stia lontano e li lasci lavorare, studiare, creare in pace.

Gli «indignati» di oggi, diciamo la verità, sono i bamboccioni di sempre: giovani (sempre meno giovani) cresciuti negli anni dell’esplosione della spesa pubblica e sconsideratamente convinti, come si legge nel proclama inviato a Napolitano, che il «benessere» sia un diritto. Non vogliono rischiare, vogliono essere garantiti. Non contestano il sistema, ma della sua parte peggiore esigono, per diritto ereditario, una quota. Non chiedono liberalizzazioni, abolizione degli ordini professionali, flessibilità: pretendono la «stabilizzazione dei precari», cioè l’assunzione a tempo indeterminato di chiunque abbia mai firmato un contratto in vita sua.

Anziché chiedere più libertà, per sé e per tutti, vogliono nuove leggi, nuovi regolamenti, nuove tasse, nuovi vincoli. Anziché rivendicare il merito, e chiedere di poterlo far valere, vogliono togliere ai migliori per dare agli inetti. Anziché scommettere sulla propria imprenditorialità, condannano il «profitto» - a spese dei genitori, naturalmente, dalla cui borghese dimora molto raramente si allontanano (fra gli arrestati, ha scoperto il Secolo XIX, c’è il figlio di un funzionario di Bankitalia).

I bamboccioni italiani hanno dalla loro una lunga tradizione storica e culturale, che fa della famiglia non la cellula fondamentale della società, ma l’unico organismo sociale riconosciuto. E dalla famiglia non ci si allontana mai. Cresciuti in un sistema politico che barattava il voto dei loro genitori (non importa se alla Dc o al Pci) con una diffusione capillare dell’assistenzialismo, divenuti adulti in una scuola dequalificata che non sa più né istruire né bocciare, abituati al moderato benessere della paghetta, i bamboccioni scambiano una fortuita combinazione storica con un diritto naturale.
Ma i soldi sono finiti: e indignarsi, ahinoi, serve a poco. Dopo il crollo del socialismo reale, è l’economia a far crollare anche lo Stato sociale, e per la stessa ragione: pubblico e mercato non vanno d’accordo. Oltre una certa soglia, l’intervento legislativo ed economico dello Stato nella vita dei cittadini danneggia il mercato: cioè, in altre parole, ci impoverisce tutti.

Gli «indignati» non dovrebbero manifestare sotto le banche, ma sotto i ministeri, le

Regioni, le Asl e le altre migliaia di enti impegnati nella produzione di regolamenti farraginosi e debito pubblico fuori controllo. Sta qui il nostro buco nero: e i bamboccioni, purtroppo per l’Italia, sono parte del problema.

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