Altro che ritiro: il futuro degli italiani è in zone più difficili

I primi distretti a passare nelle mani delle forze di sicurezza afghane potrebbero essere quelli della provincia di Herat, sotto controllo italiano, ma non significa che ce ne andremo. Nel 2011 i nostri soldati in Afghanistan aumenteranno a 4.200, compresi gli addestratori. Altro che ritiro: se una compagnia potrà sganciarsi da un distretto, dopo aver passato le consegne agli afghani, andrà a rafforzare il dispositivo in un’altra zona più ostica. L’obiettivo è di esercitare maggiore pressione militare sulle sacche più attive degli insorti, per convincerli ad abbandonare la lotta armata e aderire al piano di pace. Non soltanto: nei distretti consegnati alle forze di sicurezza afghane gli italiani manterranno nelle basi Forze di reazione rapida pronte a intervenire in caso di necessità.
Il vertice della Nato a Lisbona non indicherà una scaletta di date precise e nomi di province per la transizione nel Paese. Invece fisserà paletti e condizioni per cominciare il ritiro dal sub distretto in su. I soldati italiani sono dispiegati, assieme ad altre truppe della Nato, nelle province occidentali di Herat, Farah, Ghor e Badghis. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha spiegato che «entro la fine dell’anno i militari aumenteranno a quattromila unità». A Lisbona l’Italia confermerà un ulteriore incremento di 200 addestratori, probabilmente 100 carabinieri e altrettanto personale dell’esercito «portando così il numero totale delle truppe in Afghanistan a 4.200».
Negli ultimi due anni, con l’arrivo del presidente Barack Obama alla Casa Bianca, «il nostro impegno è cresciuto dell’80%», ha ricordato ieri Maurizio Massari, portavoce del ministero degli Esteri. La transizione avverrà gradualmente e durerà tre anni, fra il 2011 e il 2014. In questo periodo sarà necessaria «una riconfigurazione delle forze militari che, provincia per provincia, passeranno dall’assetto combattente a quello di addestratori. Contemporaneamente crescerà la componente civile per lo sviluppo delle istituzioni, della governance e lo sviluppo economico». Dal 2015 rimarranno in Afghanistan i consiglieri militari al fianco delle truppe locali.
Lo stesso ministro La Russa ha ammesso che «alcune zone occidentali sono già in condizioni di essere restituite agli afghani, sia dal punto di vista politico sia da quello della sicurezza militare. A Herat questa condizione è in pratica realizzata. Nel corso del 2011 le zone attorno alla città potranno essere affidate al controllo locale». Sulla mappa colorata che il generale David Petraeus, comandante della Nato a Kabul, porterà a Lisbona, la zona di Herat dovrebbe essere la prima a passare agli afghani. Altre fonti dicono che si tratterà di province del Nord. Per Farah, fronte Sud dello schieramento italiano la transizione dovrebbe durare dai 18 ai 24 mesi. Sul fronte Nord, nella provincia di Badghis, ma pure a Ghor e a Herat sta aumentando il numero degli insorti che abbandona le armi in cambio di soldi e lavoro. In settembre il piano di riconciliazione nazionale ha attratto 205 talebani nell’area sotto controllo italiano. «In ottobre ne abbiamo avuti 40, ma il loro numero è schizzato nella prima metà di novembre a 151», conferma il maggiore Igor Piani portavoce del contingente ad Herat.

«Soltanto negli ultimi quattro giorni - aggiunge - nella provincia di Ghor hanno accettato la reintegrazione, nell’ambito del programma del governo afghano a cui la Nato fornisce assistenza, prima 91 e poi 40 insorti».
Non è escluso, però, che i talebani abbandonino le armi per l’inverno ottenendo in cambio aiuti e denaro. Poi, con l’arrivo della primavera, dopo la raccolta dell’oppio, ricomincino a combattere.

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