Un altro miracolo di Zanardi Capotta a Spa, ma esce illeso

Benny Casadei Lucchi

C’è qualcosa di assurdamente magico e inquietante, diciamo, anche incosciente nelle prime parole di Alex Zanardi dopo il brutto incidente avuto ieri in prova sul circuito di Spa, Belgio, mentre con la sua Bmw Wtcc stava affrontando la curva Pouhon, una doppia a sinistra: «È la prima volta che mi capotto in carriera, da quando corro in auto...».
È la prima volta che si capotta, dice il simpatico e impegnato pilota bolognese, ma nel dire queste poche, semplici parole, a tutti non può che venir subito in mente quanto gli è già capitato: dai brutti incidenti in F1, tra l’altro proprio a Spa, con la Lotus nel 1993, al dramma del Lausitzring, nel settembre 2001, quando uscendo dal pit stop fu speronato da un’altra vettura. È inevitabile: a tutti si parano davanti le immagini strazianti del botto che gli amputò di netto le gambe; per tutti il ricordo corre a quelle ore di paura, a quei giorni di ansia in cui in molti giuravano che non poteva farcela, non poteva perché troppo sangue aveva perso. Invece la fortuna, la forza, il coraggio di Alex hanno sbugiardato il destino e tutti quanti.
C’è però qualcosa di assurdamente magico e inquietante e incosciente nel suo insistere a sfottere questo destino: perché, nella vita a trecento all’ora di un pilota, un incidente ci può stare, perché anche un grave incidente ci può stare, perché persino un dramma come quello vissuto da Zanardi in Germania quattro anni fa ci può stare..., ma poi, per favore, è meglio dire basta con le corse.
Perché dopo tutto quanto è successo, suona stonato ascoltare Alex che ora dice «sto bene, però mi dispiace di aver fatto un errore, di aver vanificato il lavoro dei meccanici... peccato, volevo far cose egregie qui a Spa e invece sono stato un pivello, non ho scuse... contro le barriere la vettura ha fatto pendolo, ho toccato dietro e poi prima di picchiare davanti ho cominciato a volare picchiando davanti e dietro pim pum pam, che casino. Non so quanti giri ho fatto su me stesso, forse tre... non vedevo l'ora che si fermasse. In quei momenti speri solo che nessuno ti centri. Quando sono uscito i commissari mi guardavano allibiti, “tutto bene, tutto ok” mi domandavano...

Figuriamoci, con quello che ho già passato».
Già. C’è qualcosa di assurdamente magico, inquietante, incosciente in quanto ha appena raccontato, qualcosa che spinge noi persone banali ad un unico, mesto, suggerimento: Alex, suvvia, lascia perdere.

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