Un altro Rinascimento da rottamare. Quello della premiata coppia Ino-Ino, Bassolino-Iervolino, è finito pateticamente tra i liquami dell’immondizia urbana. Di Totò Cuffaro, scivolato su un vassoio di cannoli, tutti sappiamo. Adesso è arrivato il momento di chiuderla anche con la grande illusione della riscossa calabrese, annunciata a furor di popolo e di buona stampa, più di buona stampa che di popolo, a partire dal 2005, stagione in cui il presidente Agazio Loiero vinse le elezioni regionali e promise - come no - un nuovo Rinascimento. Pulizia, trasparenza, onestà. Il riscatto dell’altra Calabria, quella che lavora e che produce. Soprattutto la Calabria che si ribella ai metodi tribali della ’ndrangheta. Una sciccheria.
Da come stanno andando le cose negli ultimi mesi, bisogna riconoscerlo: la usiamo con troppa libertà, in modo decisamente blasfemo, questa immagine del Rinascimento. Se davvero tutti rinascessero così profondamente e velocemente, non avremmo più intere aree della nazione in questo stato. In quale stato? Quello che contemplano i telespettatori di tutto il mondo, faticando a distinguere i reportage dall’Italia dai servizi sul Pakistan o sulla Striscia di Gaza.
Da ora in poi, patti chiari e amicizia lunga: diffidare di qualunque taumaturgo prometta un Rinascimento. Ne abbiamo abbastanza, di certi Rinascimenti. Operazioni di facciata. Lifting e maquillage. Bassa propaganda. Lasciamo il Rinascimento a Giotto, Botticelli e Michelangelo, titolari del marchio. Che l’hanno saputo fare davvero. Noi, al massimo, possiamo solo chiedere scusa.
Due anni e mezzo, non di più: tanto è durato il gioco di prestigio dei nuovi illusionisti. Ma è bastato poco per smascherare il trucco. Qualcosa s’era già intuito con il delitto Fortugno, vicepresidente del consiglio regionale, freddato nell’ottobre 2005 per questioni - tu pensa la coincidenza - di sanità. Ora, all’altro capo del filo, una gigantesca retata che arriva proprio dentro il Palazzo, mutilandolo di un consigliere molto noto e forse persino stimato.
Il primo pensiero, davanti al cumulo di macerie dell’ennesimo riscatto fallito, va davvero all’altra Calabria. Soprattutto a quella dei “Ragazzi di Locri”, che hanno alzato la testa e la voce proprio all’indomani del delitto Fortugno. «Ci siamo, ma non ci stiamo», hanno scritto sui loro striscioni. Si sono prefissi di cambiare le cose, di rompere gli ingranaggi secolari che mandano avanti - o piuttosto indietro - la vita pubblica e privata della loro terra.
Non sono gli unici, nell’arcipelago disastrato del bene, in Calabria. Ad ogni occasione, fosse la strage di Duisburg per la faida di San Luca, fosse il trasferimento del piemme De Magistris, molti coraggiosi, molti idealisti, molti perbene si sono ribellati. Mossa comunque valorosa, in un luogo dove metterci la faccia non è semplicissimo. Spesso comporta tremendi effetti collaterali.
Che cosa raccontare, adesso, ai calabresi dell’altra Calabria? Perché non pensino che la riscossa è un bluff, la politica ha già fatto volare gli stracci, con una seduta della Giunta regionale. Decapitati i vertici della sanità, cioè gli uomini scelti proprio durante la stagione lieve della riscossa. Prevista anche la costituzione di parte civile, che fa sempre un certo effetto, come di indignazione feroce. La politica fa l’offesa, cercando di accreditarsi quale prima vittima degli imbrogli e delle porcherie. Peccato che tutto, gira e rigira, parta e ritorni sempre lì. Nella politica.
La Calabria è una regione bellissima, in natura. Plasmata dal Padreterno con cura e fantasia. Mare e montagna, azzurro e verde. Un’eterna alternanza, sempre nel giro di pochi chilometri. Peccato che il dono sia finito in pessime mani: oggi, soprattutto lungo le coste, la Calabria è molto meno bella di come la pensò e la fece il Creatore. Non è l’unica zona d’Italia ad aver tradito il grande Progettista: ma qui si sono superati.
Se l’architettura è quella che è, la gestione delle cose pubbliche risulta pure peggio. In modo odioso, i grandi succhiasangue si accaniscono sulla sanità, giocando macabramente con la salute della gente. Dalle statistiche degli ultimi anni, risulta che si spende per ogni abitante più di quanto si spenda in Alto Adige. Inutile, per pura compassione, il confronto dei servizi. Memorabili certe inchieste apparse sui giornali. Quella sulla piana di Gioia Tauro, oltre ogni dire: sette ospedali per duecento posti letto. Quasi otto dipendenti per ogni ricoverato. Media nazionale, tre. Il resto, ciclicamente nei collegamenti televisivi e nei servizi di cronaca: appalti pilotati, convenzioni truccate, nomine mafiose.
Quando Loiero si insediò, nel 2005, propose la sua scommessa. In parole povere, neppure il caso di dirlo, un Rinascimento. Onestà, trasparenza, sobrietà. Da allora, una sequela senza fine di inchieste e di arresti fin dentro il cuore della sua giunta. Degno di nota anche l’accertamento avviato dalla Corte dei conti sui costi delle Commissioni regionali: 4,4 milioni nel 2005. In consiglio, quaranta auto blu per cinquanta consiglieri. Un signor spendere.
Sarebbe molto bello raccontare all’altra Calabria che il bene sta finalmente vincendo sul male. Ma la sensazione che si respira è di una maledizione invincibile, perché invincibile è la mentalità bieca che la genera e la sostiene.
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