Alzata di scudi dell’Europa dopo l’allarme di Standard & Poor’s Van Rompuy attacca: niente diritto di voto a chi sgarra sui conti

Alzata di scudi dell’Europa dopo l’allarme di Standard & Poor’s Van Rompuy attacca: niente diritto di voto a chi sgarra sui conti

Milano In senso figurato, solo Frau Merkel ha fatto spallucce: «Sono affari loro». Come sempre, un panzer. Inamovibile. Il meno strutturato Nicolas Sarkozy viene invece descritto come terrorizzato («La situazione è grave», si è lasciato sfuggire) dall’idea di perdere la corona della tripla A, una specie di babau sventolato l’altra sera sotto il naso di Parigi, di Berlino e di tutti gli altri primi della classe dalla solerte Standard&Poor’s. Anche se, almeno sui mercati, S&P ha finito per sparare un colpo a salve: leggeri i ribassi nelle Borse (-0,5% Milano), e spread Btp-Bund ancora in calo, a quota 368.
Ma a pochi giorni da un vertice decisivo per l’euro, quello dell’agenzia di rating è parso un tempismo perfetto. «Sospetto», corregge qualcuno. «Non può essere una coincidenza», ha tuonato Jean-Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo, rimasto «basito» da una mossa «scriteriata e iniqua». Subito sostenuto dalla domanda retorica di Christian Noyer, componente il board della Bce nonché governatore della Banque de France: «Le agenzie sono state uno dei motori della crisi nel 2008. Stanno diventando un motore della crisi attuale?».
L’alzata di scudi contro S&P, che ieri ha messo sotto osservazione anche il rating del fondo salva-Stati, è stata collettiva, tanto da provocare un ricompattamento nelle file litigiose degli euro-membri. Comprensibile. Anche perché nel mirino sono finiti anche quei Paesi impegnati nella risistemazione dei bilanci pubblici. Poi c’è il timing scelto, poco felice. Non sarebbe forse stato meglio rinviare l’annuncio al termine del summit Ue, una volta trovate (oppure non individuate) «quelle soluzioni credibili» contro la crisi in base alle quali «il credit watch potrebbe essere migliorato», come ha precisato ieri la stessa agenzia? Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, che ama andar controcorrente, offre però un’altra interpretazione alla mossa di S&P: è «il miglior incentivo possibile» per il vertice dei capi di Stato e di governo, spiega.
Sarà. Di sicuro, almeno a parole, ha fatto proseliti l’idea della Germania di punire chi scantona dal sentiero dei conti in regola. Il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, proporrà infatti al summit belga «una maggiore convergenza economica» con «l’introduzione di sanzioni», come per esempio «la sospensione del diritto di voto per chi non rispetta i parametri di debito e deficit». Al tempo stesso Van Rompuy, propone di aprire la strada alla creazione in futuro degli Eurobond, con ciò lasciando intuire una sorta di do ut des.

In base al quale Berlino, in cambio del giro di vite alla disciplina di bilancio, appoggerebbe l’ipotesi di mettere in campo uno dei bazooka anti crisi. Del resto, dall’America, non arriverà alcun appoggio. Il segretario Usa al Tesoro, Tim Geithner, è stato chiaro: la Federal reserve non darà denaro al Fmi da «girare» alle casse del fondo salva Stati.

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