«Ama Senegal, ecco le prove del disastro»

(...) della Corpoazeo Total Sa Esp (che fra i suoi dirigenti annovera due manager «incriminati e arrestati» - basta leggere El Tiempo del novembre 2004 - per aver corrotto nel ’97 funzionari pubblici); e l’accusa rivolta alla società municipalizzata d’aver «inutilmente mentito» nel replicare lo scorso 6 dicembre - spiega Augello - alla «circostanziata denuncia sul disastro politico, manageriale e ambientale» noto come «il caso Ama-Senegal».
Il «pasticciaccio brutto di Bogotà» inizia nel 2003, ma culmina alla fine del 2004 col deposito in tribunale di una memoria dello studio legale colombiano che assiste la società ricorrente. La quale, ex socia dell’Ama per l’aggiudicazione di un appalto per la raccolta di rifiuti e lo spazzamento in almeno due distretti di Bogotà, accusa la Spa capitolina - dice Augello - d’aver «presentato una documentazione errata o addirittura alterata, per dimostrare requisiti e idoneità per partecipare a una gara dalla quale, alla fine, il raggruppamento fra Ama e Corpoazeo sarebbe stato escluso». Risarcimento richiesto, 5 milioni di dollari. La sentenza è prevista fra qualche settimana. Intanto «i costi complessivi dell’operazione - spiega Augello -, già a fine 2004 avevano superato i 100mila euro». E ancora. Dalla memoria dei legali di Bogotà sembrerebbe che Ama sia stata «esclusa» dalla gara «perché ritenuta non in possesso dei requisiti finanziari richiesti dal bando internazionale». Avrebbe «tentato di attribuirsi il rating rilasciato da Standar & Poor’s e da Fitch al Comune di Roma per migliorare il proprio merito di credito. Vero o falso che sia - chiosa Augello -, e ci piacerebbe avere conferma ufficiale che si tratti di accuse false, molti quesiti restano irrisolti».
Augello ha poi divulgato alcune fotografie scattate in Senegal all’inizio del mese. Che «documentano l’improvvisazione con cui l’agenzia ha negato l’evidenza». A cominciare dal costo medio per tonnellata di rifiuti raccolti: 17 euro a Dakar, 120-140 euro in Italia. Un dato presentato come prova d’efficienza, senza specificare che i 1.786 dipendenti del Senegal, con un salario mensile di poco più di 100 euro, costano quanto 140 dipendenti a Roma. Quanto alla qualità dei mezzi usati nel Paese africano, le immagini ritraggono «operatori Ama immersi nell’immondizia fino al ginocchio - spiega l’esponente di An -, persino privi di guanti». E se sulle alluvioni invocate dall’Ama a «discolpa» An replica attraverso le parole di un ministro senegalese che imputa alla società capitolina «molte mancanze», non manca nel dossier neppure un riferimento al contenzioso con i dipendenti per i ritardi nei pagamenti. Sul capitolo «epidemia di colera», a fronte della precisazione dell’Ama per cui nessun dipendente della società ha contratto la malattia, Augello ha ricordato le dichiarazioni rilasciate all’Ugl dal capo del Dipartimento epidemiologia dell’università di Dakar, che ha considerato l’emergenza rifiuti «come un evidente fattore aggravante dell’epidemia, non certo come una causa primaria di contagio».
All’amministrazione, con Augello, chiedono chiarimenti gli esponenti di An Fabio Rampelli, Vincenzo Piso, Roberta Angelilli, Luca Malcotti e Sergio Marchi. Sul caso-Bogotà, sul caso-Dakar, ma anche sul caso-Sindia (Senegal). Il 6 dicembre l’Ama rivendicava infatti d’aver chiesto l’autorizzazione per una nuova discarica.

«Peccato - dice Augello - che i lavori non si sono potuti concludere, come previsto, a dicembre, poiché l’impresa appaltatrice, la Gicos di Torino, lamenta mancati pagamenti per 2,3 milioni di euro, a cui andrebbero aggiunti altri 700mila euro di danni per il fermo cantiere. In tutto, 3 milioni di euro. Se Ama Senegal iscrivesse in bilancio questa uscita, cui non sa come far fronte, bisognerebbe liquidare la società».

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