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Amanda, nuovo show in aula ma l’amica di Metz l’accusa

Entra in aula Amanda, e gli occhi di tutti cadono sulla sua maglietta. «All you need is love», c’è scritto a caratteri cubitali rossi su sfondo bianco. «Tutto quello di cui hai bisogno è amore», come nella celebre canzone dei Beatles. Amanda non parla, ma quel manifesto pare la sua risposta alle accuse, alle tinte forti, alle verità sgradevoli raccontate in aula. Ma la maglietta scompare quando al microfono si avvicina Laura Mezzetti. Anche lei vede Amanda con gli occhi diffidenti delle amiche inglesi di Metz: «Il pomeriggio del 30 ottobre io, Amanda, Meredith e Filomena parlammo di tradimento. Amanda, che aveva un fidanzato in America, si sentiva giù per la sua relazione con Raffaele. Fu in quell’occasione che Metz disse di non aver mai tradito in vita sua. Metz disprezzava il tradimento». E forse con quella dichiarazione colpì Amanda che percepì tutta la distanza fra sé e l’inglese.
Le istantanee sono tutte uguali: Amanda che fumava, Amanda che riceveva gli uomini, Amanda che metteva a disagio Metz, Amanda che non faceva i lavori di casa e nemmeno puliva il bagno. Amanda hard col vibratore. Ora pure Amanda che tradisce e viene in qualche modo umiliata dalla futura vittima che invece proclama la propria fedeltà al suo uomo.
L’album di questo processo è riempito dalle foto-ritratto di una donna che occupa lo spazio del male, del disordine, delle relazioni torbide. Lei, venerdì, ha provato a parare quei colpi: «Sono innocente. Spero che tutto si sistemi». Ma, almeno per ora, non si è sistemato niente.
E Amanda sfoggia allora quella maglia tutta candore e ingenuità. È stato il padre, Curt Knox, a regalargliela, nel giorno zuccheroso e adolescenziale di San Valentino: «Amanda ama i Beatles e spesso conclude le sue lettere con una loro frase». Anche Raffaele Sollecito viene calamitato da quelle parole, accompagnate da un sorriso tutto per lui, poi si rivolge al suo difensore, Marco Brusco: «Ha ragione: tutti abbiamo bisogno di amore». Sarà.
Nella Sala degli affreschi si raccolgono indizi di perversione, di sesso senza freni, di sangue e morte. L’immagine della ragazza di Seattle è sempre più oscura: sotto il suo sorriso c’era un ribollire di sensazioni incontrollate e di sentimenti alla deriva. Laura Mezzetti aggiunge un dettaglio inquietante: dopo la scoperta dell’omicidio, notò che Amanda aveva un graffio sul collo. Un graffio che non c’era due giorni prima. E si preoccupò «perché Meredith era morta per una ferita alla gola». È solo un flash, ma fissa lo spillo del dubbio nella testa dei giudici popolari.
Stefano Bonassi, uno dei vicini di casa di Meredith, e Giacomo Loquenzi, il fidanzato della vittima, esplorano un altro lato del triangolo morboso che faceva capo ad Amanda: i suoi rapporti con Rudy Guede, già condannato a trent’anni. «A Guede gli gustava Amanda», spiega Bonassi. Loquenzi conferma. Strano tipo, Guede: una sera, a casa di Meredith, si era addormentato sul water.
Alla fine, il più normale dei tre imputati pare essere Raffaele Sollecito. Vengono ascoltate la sue telefonate al 112: il timbro della voce è alto, il tono prima calmo e poi concitato.

Se di recitazione si tratta Sollecito è un buon attore.

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