Amato: "Non sono un furfante. Troppo tardi per una modifica"

Il pressing di Napolitano non smuove il ministro dell'Interno: "I nostri militari hanno già votato". Ma Di Pietro lo smentisce: "Una motivazione che non serve"

Amato: "Non sono un furfante. Troppo  tardi per una modifica"

da Roma

Con un appello solenne al capo dello Stato, il leader del Pdl apre ufficialmente lo scontro con il Viminale.
Berlusconi chiede che Napolitano «intervenga immediatamente a difesa della credibilità delle istituzioni democratiche e del diritto degli italiani a un regolare svolgimento delle elezioni». Oggetto dell’allarme è la disposizione «confusa» dei simboli elettorali sulle schede predisposte dal ministero dell’Interno, che rischia di «confondere» le idee ai votanti e di dare il via a un’infinita serie di contestazioni e di annullamenti. Un problema (peraltro sollevato nel centrosinistra anche da Antonio Di Pietro) per risolvere il quale il governo non ha ancora preso alcuna iniziativa, «nonostante numerose sollecitazioni», ricorda il Cavaliere.
La risposta del Quirinale non si fa attendere. Giorgio Napolitano invita il ministro dell'Interno, Giuliano Amato, a «fornire tutti i chiarimenti opportuni» sulla composizione delle schede elettorali. «Il presidente della Repubblica - si legge in una nota ufficiale del Colle - in relazione all'appello rivoltogli anche dall'onorevole Silvio Berlusconi, perché intervenga sulla questione dei rischi che comporterebbe l'attuale conformazione delle schede predisposte dal ministero dell’Interno per le elezioni del 13 aprile, ha invitato il ministro Giuliano Amato, a fornire ai rappresentanti delle forze politiche e all'opinione pubblica tutti i chiarimenti opportuni». Il presidente aggiunge anche che «al capo dello Stato non spetta alcun ruolo nelle procedure di organizzazione della consultazione elettorale», dunque la responsabilità della faccenda sta tutta in capo al governo in carica.
Amato convoca una conferenza stampa al Viminale, replica alle accuse di Berlusconi e chiude la porta ad ogni possibile correzione: «Modificare oggi, e anche già la scorsa settimana, le schede elettorali, è impossibile, anche da parte del Parlamento, perché i nostri militari all’estero hanno già votato sulla base delle schede esistenti». Amato è polemico con il capo dell’opposizione: «Le schede elettorali rispondono alla disciplina legislativa adottata nella precedente legislatura con decreto che reca la firma dell’allora presidente Berlusconi e del ministro dell’Interno mio predecessore». Il ministro dice di trovare «a dir poco sorprendente che possa essere stato chiamato in causa il capo dello Stato, che ha altre responsabilità e competenze, e che si sia potuto adombrare che il ministero dell’Interno abbia predisposto le schede in conformità alla propria fantasia culinaria. Non mi aspetto - nota Amato - che tutti conoscano le leggi italiane, mi aspetto che le conoscano almeno quelli che le hanno fatte». Il titolare del Viminale respinge ogni sospetto: «Io non sono il capo di una banda di furfanti e l’Italia non ha bisogno di essere dipinta come un Paese dei brogli quotidiani. Guai a dare del nostro Paese un’immagine tale, nemmeno fosse lo Zimbabwe».
Ma la risposta del ministro non convince il suo collega Di Pietro, che insiste: «La scheda elettorale così com’è disegnata graficamente non va e va ristampata con le opportune correzioni». Secondo il leader dell’Italia dei valori, «i diritti costituzionali, di chiunque siano le colpe originarie, non possono essere compressi da provvedimenti che violino i principi della Costituzione». Anche perché «la motivazione del voto già dato dai militari all’estero non regge», perché nulla vieta di validarlo cambiando le schede per gli altri elettori. E conclude duro, e con tanto di latinorum: «Spiace che un costituzionalista di livello come Amato dica che non c’è nulla da fare. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. E confondere gli elettori sarebbe veramente diabolico».

Da Forza Italia intervengono Quagliariello e Cicchitto: «Alle argomentazioni del ministro Amato rispondiamo che fino a prova contraria la scheda elettorale non è un Vangelo, ma deve rispondere alle esigenze contingenti della competizione politica».

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