Alessia Marani
Aveva persino finto il suo sequestro e chiesto il «riscatto» ai genitori per venire a Roma e poter abortire clandestinamente. Protagonista della drammatica vicenda una ragazzina ghanese di appena 16 anni, residente con la famiglia a Schio, in provincia di Vicenza. Papà e la mamma trapiantati regolarmente in Italia da diversi anni, un fidanzato connazionale maggiorenne con cui alla fine dello scorso anno concepisce un bambino. Chiara (chiamiamola così, ma è un nome di fantasia) a gennaio sparisce di casa e finge dessere stata rapita. Poi si pente, torna a casa e racconta tutto: era andata a Roma per abortire quel bimbo di cui il padre e la madre neanche sapevano dellesistenza. A quel punto, scattano le indagini dei carabinieri locali che passano la mano ai colleghi del comando di Frascati, alle porte di Roma, che accerteranno lesistenza nel cuore della Capitale di un autentico laboratorio illegale per aborti fuorilegge tirato su da unex infermiera di 82 anni in un appartamento di Montesacro.
Nel Veneto i militari ascoltano il racconto dei genitori della ragazzina che decidono di denunciare quanto accaduto: «Nostra figlia era scomparsa - dicono - abbiamo temuto il sequestro. Ci erano stati chiesti anche dei soldi. La somma richiesta non era così eccessiva. Per un momento abbiamo pensato pure che fosse finita in un giro di macumbe. Ma è tornata a casa e ci ha spiegato. Aveva abortito». Chiara, dunque, era «semplicemente» fuggita di casa con laiuto del suo ragazzo. Era lui, del resto, ad avere contattato unaltra connazionale che vive a Roma, nella zona fra Grotte Celoni e Torre Angela, la donna che avrebbe poi messo in contatto la coppia con lanziana «mammana», D.L.M.. Gli uomini del tenente Michele Meola individuano presto E. S., 35 anni, lintermediaria. Si mettono alle sue calcagna, si tengono in contatto con Schio, seguono e filmano i movimenti della straniera, rintracciano labitazione-laboratorio di Montesacro.
Alcuni giorni fa il blitz e la sconcertante scoperta: nellappartamento vera una stanza trasformata in una sorta di sala operatoria, con tutte le attrezzature e strumentazioni tipiche dei ginecologi (per un valore di circa 20mila euro), nonchè pap-test, analisi cliniche, ricettari medici di cui in passato era stato denunciato lo smarrimento. Tutto materiale che ha permesso ai carabinieri di verificare lattività della donna. «Finora abbiamo accertato una decina di casi - spiega Meola -, ma riteniamo che D. L. M. abbia cominciato a operare da circa una decina danni. Gli aborti avvenivano in una struttura completamente non autorizzata, in condizioni non igieniche. Lanziana attirava clienti utilizzando, appunto, delle adescatrici, come E. S.. Perlopiù straniere alle quali veniva corrisposta una percentuale del 10 per cento sui guadagni, dai 350 ai 600 euro per intervento». E. S. si trova ora nel carcere di Rebibbia, a D. L. M.
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