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Amman, Zarqawi rivendica i tre attentati

Roberto Fabbri

Migliaia di persone hanno partecipato ieri in diverse città della Giordania a manifestazioni di protesta contro i terroristi che la sera di mercoledì hanno ucciso una sessantina di persone in tre attentati contro grandi alberghi nella capitale Amman. «Morte a Zarqawi, il traditore!», gridava la folla. «Che bruci all’inferno!». Sì, perché Abu Musab al-Zarqawi - il terrorista giordano nato nella città di Zarqa che dopo la scomparsa di fatto di Osama Bin Laden è diventato l’uomo più ricercato del mondo - ha rivendicato a nome di Al Qaida le stragi compiute nel suo Paese natale.
Zarqawi ha dichiarato guerra aperta alla Giordania, definendo il re Abdallah (che ieri ha detto di non volersi «piegare al ricatto») e le autorità dello Stato «lacché degli americani». Questo perché quello di Amman è un regime moderato, che intrattiene ottimi rapporti con gli Stati Uniti e gli altri Paesi occidentali, oltre ad avere da tempo fatto la pace con il vicino Israele con il quale ha regolari relazioni diplomatiche. Per questo la Giordania, agli occhi di Zarqawi, tradisce la causa araba. Ma certamente conta molto anche il fatto che i servizi di sicurezza giordani forniscono un aiuto prezioso nella lotta contro il terrorismo internazionale. E va ricordato che Zarqawi ha un conto aperto con le autorità giordane: ha infatti trascorso quattro anni nelle prigioni del regno hashemita, prima di essere liberato nel 1999 in seguito ad un’amnistia.
Il portavoce della Casa Bianca Scott McClellan ha confermato che gli attentati di Amman «portano il marchio di Al Qaida». Proprio ieri il segretario di Stato Condoleezza Rice ha cominciato un viaggio in Medio Oriente. Il presidente Bush, che ieri mattina ha telefonato al re Abdallah per esprimergli il sostegno degli Stati Uniti, ha parlato di «atto che ispira orrore» e ha detto che «di fronte ad assassini che non esitano a far esplodere bombe durante cerimonie nuziali abbiamo l’obbligo e il dovere di rimanere all’offensiva». Il mondo, ha aggiunto Bush, «ha visto nuovamente il volto del nostro nemico». Anche il premier italiano Silvio Berlusconi ha confermato alla Giordania «pieno sostegno nella comune battaglia contro il terrorismo, l’intolleranza e il fanatismo».
Il bilancio delle vittime dei tre attentati agli hotel Grand Hyatt, Radisson Sas e Days Inn è stato aggiornato ieri a 59 morti (cifra che include i tre terroristi suicidi e purtroppo numerosi bambini) e 300 feriti. Trentatré delle vittime erano cittadini giordani e diciotto sicuramente stranieri: tra loro sei iracheni, tre cinesi, due del Bahrein, un arabo israeliano, tre palestinesi (tra loro c’è «un alto funzionario»), un americano, un saudita e un indonesiano.

Altri cinque corpi non hanno ancora un nome, ma al nostro ministero degli Esteri non risulta alcuna vittima italiana.

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