Ammissione di impotenza

Si chiama voto di fiducia, ma in realtà è una ammissione di sfiducia. Il governo ha intenzione - nonostante le dichiarazioni in contrario di alcuni esponenti di spicco del centrosinistra, tra loro il presidente del Senato Marini - di spintonare la Finanziaria verso l’esito finale con il ricorso a una «conta» parlamentare che rientra senza dubbio nei legittimi strumenti procedurali, ma che ha in realtà un sottofondo intimidatorio per non dire ricattatorio. Un modo per vincolare i peones di Camera e Senato al loro obbligo di fedeltà. Non è la prima volta, intendiamoci, che questo espediente procedurale viene utilizzato, e di sicuro non sarà l’ultima. Per giustificare il suo impiego l’attuale maggioranza si rifà ai precedenti, che non mancano. Ma alcune specifiche circostanze e connotazioni rendono particolarmente ambiguo, nella versione prodiana, il voto di fiducia. Al salvagente della fiducia vuole aggrapparsi - questa è una prima considerazione - proprio la coalizione che con grande strepito rimproverò a Berlusconi, in analoghi frangenti, scarso rispetto per Montecitorio e per Palazzo Madama e un arrogante piglio autoritario. Insomma, ciò che in mano al Cavaliere è un’offesa alla libertà, in mano a Prodi è tutt’altra cosa.
In effetti è tutt’altra cosa. Non si tratta adesso - come per lo più avveniva in altre stagioni politiche e partitiche - di riportare alla disciplina i cosiddetti «franchi tiratori» e di sedare le fronde interessate e personalistiche che covano in ogni alleanza. No. Si tratta di affermare l’esistenza di una maggioranza fantasma che alla Camera risulta avere i numeri per reggersi in forza della legge elettorale e che in Senato non li ha: trovandosi costretta a lanciare strazianti Sos ad anziani gentiluomini e gentildonne, gratificati nel laticlavio a vita.
La fiducia, a questo punto, non è la garanzia di solidità di una coalizione, è un espediente estremo. Vuol negare o mascherare la verità, che è semplicemente questa: senza voto di fiducia la maggioranza di centrosinistra è ogni momento in procinto di naufragare, la ciambella di salvataggio non può essere episodica, deve essere una costante della vita parlamentare. È questo che non si può ammettere, è questa l’anomalia prodiana. La dottrina della fiducia permanente fa a pugni, nel lungo corso, con le regole d’una democrazia sana.
Non bastasse la ventilata sfiducia, assistiamo alla decomposizione della Finanziaria, attaccata da tutti, modificata, sottoposta a innumerevoli maquillage nel tentativo di renderla meno brutta, ma purtroppo brutta irrimediabilmente. Gli emendamenti vengono dall’opposizione e lo si capisce, ma vengono a raffica anche dall’interno della coalizione di centrosinistra: e non sono mai emendamenti virtuosi, la Finanziaria del rigore somiglia sempre più a una Finanziaria allegra, ma con risvolti cimiteriali. Le corporazioni care a Prodi e al centrosinistra in generale si fanno sentire, e se del caso si fanno anche obbedire.

È stato perciò cancellato quel minimo di austerità degli aumenti automatici di stipendio che era stato applicato ai magistrati. Guai a chi tocca le toghe, potenti e suscettibili.
Prodi nutre fiducia, come Facta buonanima, e si nutre di fiducia. Senza di essa, teme, addio Palazzo Chigi.

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