(...) dalla porta a vetri del Maggior Consiglio, parlamentari, consiglieri regionali e comunali, intellettuali, di destra e di sinistra, insieme, a parlare, a discutere, ad ammettere torti propri, a commuoversi.
Credo che questo sia fare Cultura. Credo che questo sia la materializzazione di un lavoro intellettuale fatto da te, dal Giornale. Fatto da Luca Borzani, dalla Fondazione Cultura. Fatto da me e dai miei compagni di viaggio che con me hanno lavorato. Credo sia la prova di come la Cultura abbia la forza per muovere le persone, abbia la forza per unire le persone, per dar loro coraggio, capacità di indignarsi, di ribellarsi, di piangere, di battersi a parole, di far pace.
Caro Massimiliano, grazie a te, grazie al Giornale, ho potuto in questi ultimi due anni, dar voce ad una mia convinzione: che la Cultura è Politica. Che facendo Cultura si fa la miglior politica possibile. Ho potuto provare a me stesso, nei tanti appassionati confronti con i lettori, che la parola ha ancora un peso, che le idee dette con convinzione ad alta voce aggregano consenso o ottengono comunque il rispetto di chi non riesce a condividerle.
Caro Massimiliano, non credo che, anche tra gli amici più vicini a noi, tutti si siano resi conto di quello che è accaduto l'altra sera. Di quello che potrebbe accadere in futuro se sapremo giocare una carta che prima sembrava appartenere solo alla sinistra. Riappropriarci senza complessi di un area off limits per il centro destra, incamminarci da artificieri in quel terreno minato che è la Cultura, scivolando lungo la faglia che segnava un confine tra la sinistra e la destra. Un po' incursori, un po' missionari, un po' acrobati, un po' guasconi come Cyrano. Io credo che i contabili del voto, non ci abbiano visto di buon occhio. Anzi ne sono sicuro. Mi hanno già detto chiaro e tondo più di una volta che non devo illudermi, che queste cose non portano voti. Può darsi. Anche se penso il contrario. Anche se penso che la partite incerte si vincono o si perdono ai rigori, che le battaglie si giocano sui confini, lontano dal rassicurante centro.
I contabili del voto contano i voti sicuri, non perdono tempo a conquistarsi improbabili consensi al di là del proprio steccato.
Caro Massimiliano, tu e il Giornale mi avete dato la possibilità di esistere nei dibattiti sulle sorti Culturali della mia Genova. Per quanto mi è stato possibile ho sempre cercato di intervenire, mettendomi possibilmente dalla parte sbagliata.
Ogni volta che un mio articolo viene pubblicato sul tuo Giornale, ricevo decine di sms, di email, di telefonate di lettori, di amici, di persone che non conosco. A distanza di giorni trovo ancora chi mi ferma per commentare un pezzo che per me è già lontano.
Ogni volta che scrivo un articolo per il tuo Giornale cerco di saltare senza rete, di espormi controcorrente, di essere il più scomodo possibile, perché solo così si apre una discussione vera, senza alibi, né cortesie di sorta. In realtà per me una rete c'è, ed è il pensare che comunque queste pagine sono dirette da te. Da te che so pubblicherai sempre un'opinione diversa dalla tua e ne difenderai il diritto di essere espressa.
Scrivere sul Giornale mi aggrappa a Genova dove non vivo.
Se guardo l'agenda del mio ultimo mese, poco diversa da altri mesi, ho passato quattro giorni a Barletta, tre a Varsavia, venti a Milano e solo tre a Genova.
Anche di questo cè chi si lamenta. Denota uno scarso impegno politico, pare.
A Genova faccio tante cose che mi danno molta soddisfazione ma, senza lavorare fuori casa, non mi pagherei né il mutuo né le bollette.
Sarei pronto a rientrare domani a Genova se ricevessi una proposta sensata.
*regista
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