Amore e misteri dal sapore verista

Il mistero dei «punti faccia» disegnati da Bruno Giangreco funzionano un po’ come una strana macchina dello spazio-tempo. Prendono il lettore al giorno d’oggi nella chiesa di Sant’Antonio a Sestri Levante e lo catapultano a Borgorado, un paesino dell’Irpinia, che prova a ripartire in pieno dopoguerra, dopo essere stato appena sfiorato dalla rivoluzione culturale degli Alleati. Un viaggio a ritroso per l’autore, originario del Sud, nato a Gela e cresciuto a Napoli e trapiantato nel Tigullio, dove ha dato alle stampe la sua prima opera letteraria.
Il romanzo ha il sapore antico del pane fatto in casa e della campagna che offre ai protagonisti la complicità di cui hanno bisogno. Ma ha anche tutta la modernità di una storia d’amore che sessant’anni fa non si sarebbe potuta scrivere con particolari così precisi ed espliciti. Anzi, per ricalcare il più possibile un’impronta verista, Giangreco produce neologismi in quantità industriale, che nelle espressioni dei protagonisti a volte sono tanto più credibili quanto al limite della comprensione per il lettore.
Borgorado fa da sfondo alla storia d’amore di Gemma e Manù, della «tata» che si prende cura di ogni necessità dell’adolescente che le è stato affidato. Ogni necessità, compresa quella di scoprire finalmente la sessualità. Forse anche grazie a quei «punti faccia» appaiono e scompaiono galeotti e pure un po’ inquietanti, tra i due il rapporto diventa, giorno per giorno, amore.

Solo che Gemma non è esattamente libera, soprattutto in un’epoca e in una società in cui anche una promessa di fidanzamento vale quanto un matrimonio.

Bruno Giangreco, «Borgorado», ed. «Il Filo»- Gruppo Albatros, 195 pagg. 14.90 euro

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