Controcultura

Amore felice, amicizia e altre magie del giovane Dante

Sullo sfondo della turbolenta Firenze medievale, in tumultuoso sviluppo economico e finanziario, il giovane Dante, prima che la passione politica lo travolga e ne determini la rovina e l'esilio, scrive la sua Vita Nova e sceglie Amore come suo unico Dio

Amore felice, amicizia e altre magie del giovane Dante

Sullo sfondo della turbolenta Firenze medievale, in tumultuoso sviluppo economico e finanziario, il giovane Dante, prima che la passione politica lo travolga e ne determini la rovina e l'esilio, scrive la sua Vita Nova e sceglie Amore come suo unico Dio e Signore. È entrato a far parte di una cerchia di amici capitanata da Guido Cavalcanti, ricco, bellissimo, agilissimo nella mente e nel corpo, che si dichiarano Fedeli d'Amore, e riscrivono in versi dal nuovo stile il lessico delle gioie e dei tormenti del cuore.

Dante si spinge più in là. Crea il mito di Beatrice, verso cui professa, come scrive Borges, una «adorazione idolatrica»: per il giovane poeta Beatrice è tutto, è la ragazza di cui si innamora e le cui brevi vicende mondane, ritmate dal numero nove - tre volte tre, il numero di Dio - sono racchiuse in un incontro, un saluto, il rifiuto di un saluto e la morte prematura. Ed è un fantasma, il simbolo della Sapienza e della Bellezza Angelica, che illumina, ingentilisce, scaccia ogni sentimento violento, e porta dal cielo in terra il suo miracolo nuovo. Guido si chiude nel suo disperato, eroico materialismo. Dante, per onorare Beatrice, per dire di lei «quello che mai non fu detto di alcuna», intraprenderà il suo percorso di pellegrino celeste verso la conoscenza del mistero di Dio. Ma questo giovane, la cui anima conosce già vastità infinite e turbinose moltitudini, è capace di tradire l'oggetto della sua idolatria.

Nelle Rime troviamo una poesia che è la più straordinaria celebrazione della giovinezza che la letteratura universale conosca. E lì Beatrice non c'è. Una poesia che parla di un desiderio e di un piacere del tutto mondani, di una aspirazione alla felicità concreta, vissuta nel sogno ma anche nella carne. È il sonetto Guido i' vorrei che tu e Lapo ed io. Un suo tema è l'amicizia, intesa come complicità, come condivisione di esperienze in una cerchia a sé stante, impermeabile al mondo. Un altro la magia, con la convocazione sulle rive dell'Arno del Mago Merlino, il «buono incantatore», dalle brume della favolosa Bretagna. Un altro ancora il viaggio, senza famiglia, senza impedimenti, tra compagni, in mare aperto e senza meta. E infine l'amore, che qui chiede di essere corrisposto come garanzia di felicità. Beatrice non c'è, nella navigazione magica del giovane Dante. Sul vascello del desiderio c'è madonna Vanna per Guido, madonna Lagia per Lapo, e per lui? Per Dante c'è «quella ch' è sul numer de le trenta». L'espressione può sembrare criptica e impoetica, ma certo gli amici complici l'hanno afferrata al volo. Dante, alla maniera dei trovatori di Provenza, aveva scritto una poesia in cui elencava le sessanta più belle donne di Firenze. Eco certo delle «sessanta regine» di cui parla Salomone nel Cantico dei Cantici. Chi era «sul numer de le trenta», al trentesimo posto? È lei che Dante vorrebbe sul vascello incantato. Una donna in carne ed ossa, di cui non conosceremo mai il nome. Una donna con cui «ragionar d'amore», e che fosse contenta di farlo, come di certo lo sarebbe lui. La giovinezza, eterna forma di follia chimica, spinge a sognare tutto questo. Il giovane Dante, di cui molti continueranno a preferire la maschera di severità, cupezza, odio, impegno civile, lo ha sognato.

E poi, da maturo viandante dell'universo, è tornato lì, all'identità di Dio e di Amore scoperta nella sua giovinezza: all'idea di Amore come energia che muove tutto: la poesia, i desideri, il mare, «il sole e l'altre stelle».

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