da Milano
In America apre i concerti di Bob Dylan, Paul Simon, Norah Jones. Ci sa fare con i suoni acustici, con le ballate concise e iridescenti che combinano romanticismo e sensualità. Parte dal folk il chitarrista-cantante Amos Lee e lo arricchisce con impennate soul, jazz, blues per nulla scontate. È in pista da due anni e da noi ha ancora un pubblico di nicchia, che ama le seduzioni melodiche, il taglio vocale, la disillusione e la rabbia delle canzoni del primo album Amos Lee e di Supply and Demand, il suo recente lavoro che sarà la colonna portante del concerto (lunico in Italia) che terrà domani alla Salumeria della musica di Milano. «Insegnavo in una scuola elementare di Philadelphia - racconta -; i bambini mi hanno insegnato a comunicare senza paura di esprimere i sentimenti. Così ho cominciato a scrivere canzoni sempre più intense, sempre più mie».
E come è arrivato al contratto discografico con una major?
«Io pensavo alla mia musica, alla mia band. Suonavamo nei bar, nelle serate a microfono aperto dove ogni volta era una sfida col pubblico. Poi Norah Jones mi ha voluto al suo fianco in tournée».
Siete i pionieri della nuova musica acustica.
«Si, ma per mettere a punto il mio genere parto da cantautori di culto come John Prine, Townes Van Zandt con un pizzico di Stevie Wonder e del blues di Robert Johnson».
Che impressione fa aprire i concerti di gente come Dylan?
«Se ci penso mi tremano le gambe, poi la passione mi trascina, vado in una specie di trance e alla fine conquisto il pubblico».
Il segreto?
«La sincerità artistica e umana. Credo nelle ballate e nei testi che scrivo. Mi sento un menestrello moderno, e a Milano suonerò da solo, senza band, proponendo anche brani nuovi. Guardo già al futuro».
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