Politica

Analisi Cari magistrati sono gli italiani a volere il reato di clandestinità

In Italia il Parlamento e il governo, sebbene legittimati dal consenso popolare, contano poco. Al di sopra di qualsiasi autorità politica rimane una ristrettissima cerchia di giudici che fungono da cani da guardia di una oligarchia di poteri forti che si auto attribuisce la potestà di decidere le sorti del Paese. Questi Signori, ogni qual volta una norma non sia di loro gradimento, invece di limitarsi ad applicarla come previsto dalla legge, sollevano la questione di legittimità costituzionale innanzi alla Corte, mettendo così sotto scacco le istituzioni preposte a legiferare. Tale meccanismo è di per sé legittimo ed è volto ad assicurare un controllo della funzione legislativa, ma il suo abuso sta svuotando la potestà sovrana del Parlamento. È sotto gli occhi di tutti che il giochetto viene azionato dalle procure ostili a Berlusconi per farne abortire le norme a maggior contenuto politico quali esempi più recenti il lodo Alfano e il ddl sicurezza. La decisione finale poi spetta alla Corte costituzionale che è un organo giurisdizionale a vocazione rossa. Prova ne sia che l’altissima Corte è stata presieduta per lungo corso da quel Gustavo Zagrebelsky (guarda caso su nomina del ribaltonista Scalfaro) che oggi lancia appelli contro la libertà di stampa su Repubblica. Così la sinistra e Di Pietro, in assenza di un’investitura popolare che consenta loro di determinare le scelte politiche del Parlamento, incidono sulla vita della nazione per mano complice delle procure amiche. Il disegno è sempre quello: Berlusconi a casa per via giudiziaria e le sue leggi al mittente per opera di quella che Marco Pannella era solito definire la Cupola garante dei poteri forti. Così un paio di giorni addietro i sostituti procuratori di Giancarlo Caselli a Torino hanno rimesso ai giudici costituzionali la valutazione sul ddl sicurezza, ben sapendo che la Corte già nel 2007 si è pronunciata ritenendo che la clandestinità non è indice di pericolosità sociale. Ovvio corollario di tale enunciato è che il reato di clandestinità voluto dal governo, ma soprattutto dagli italiani, è destinato alla soppressione. Ecco un modo lecito per annacquare l’attività legislativa in barba non solo all’esecutivo, ma ancor più a quei milioni di connazionali che legittimamente ritengono che la clandestinità vada sanzionata. E preme sottolineare che chi la pensa così non è un folle razzista antieuropeista visto che in Gran Bretagna, Germania e Francia l’immigrazione irregolare è reato da tempo. La sinistra desidera portare a termine per via giudiziaria quella politica del porte aperte a tutti iniziata sotto l’illuminata egida di Prodi. Ed è innegabile che tale disegno riesca benissimo non solo nei confronti degli immigrati irregolari, ma anche di quelli ben più delinquenti. Un perenne scontro politico tra poteri dello Stato: Maroni riempie le strade di auto dell’esercito e le procure rispondono riempiendole di malandrini. Si pensi al caso di Sadok Hmissa, spacciatore tunisino in circolazione a Venezia, definito dalla polizia stessa clandestino da Guinness per essere stato arrestato, processato, condannato ed espulso per ben 12 volte. Ha ricevuto l’ultima condanna a maggio dal tribunale di Mestre ed è stato rimesso in libertà ogni volta per decorrenza dei termini . Martedì scorso per la tredicesima volta gli agenti lagunari l’hanno arrestato e assicurato alla giustizia. Una giustizia che però spesso non è tale, ma è vera e propria politica: quella del tanto peggio, tanto meglio. I processi e le forze dell’ordine comunque li pagano quegli italiani che, nella mente dei principini in toga, sono così stupidi da votare Silvio e quindi vanno sabotati persino nella loro sicurezza domestica. Crepi Sansone con tutti i filistei.

In attesa di un leader capace di attrarre voti, il lavoro sporco all’opposizione è assicurato dai militanti in toga.

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