Analisi Quei sacrifici obbligatori che non convincono

Molti commentatori danno la colpa del ritorno dell’orso sulle Borse europee agli attacchi della speculazione finanziaria. È una diagnosi del tutto errata, a mio avviso, che scambia l’effetto con la causa. Non è stata la speculazione a generare l’attuale crisi dei debiti sovrani, semmai ne ha semplicemente approfittato e continuerà a farlo nei prossimi mesi. Con strumenti finanziari come i nuovi derivati sarebbe stato sufficiente, nei due venerdì neri delle Borse, «shortare» una decina di futures sugli indici, per trovasi nel giro di poche ore ricchi quanto con una vincita al Totocalcio. Dalla vendita si sarebbe potuto passare all’acquisto il giorno in cui il mercato è stato «drogato» con una quantità enorme di liquidità immessa dalla Bce sul mercato: chiudendo intraday l’operazione si sarebbe «portato in cascina un bel po’ di fieno», come si dice in Borsa. Certo, bisogna avere del fegato per fare tutto quello che ho appena descritto, ma in ciò risiede l'abilità dello speculatore. Si potrà al limite biasimare il suo comportamento, ma non accusarlo di essere all'origine di quel male. Del resto, è opportuno ricordare che la moneta unica era stata voluta soprattutto dalla Germania di Kohl, perché con il «supermarco» di allora le imprese tedesche non riuscivano più ad esportare neppure una sega. Per questo si sono imbarcati cani e porci, Paesi virtuosi e meno virtuosi, solidi e meno solidi, e ora questi ultimi hanno semplicemente presentato il conto alla riluttante Cancelliera di latta. Tutto qui. Ma si replicherà, tornando alla speculazione: come è possibile che io - sì, d’accordo, non lo nascondo, è sempre stato un mio grande sogno - possa, da casa mia e con il mio portatile, dare ordini di acquisti e di vendita sui mercati e ritrovarmi d'improvviso ricco senza aver fatto nulla? Questo è il capitale finanziario: il capitale ormai giunto ad un tale grado di sviluppo che non ha neppure più bisogno del lavoro per valorizzarsi. È l’attuale Weltgeist del capitalismo. Ci vorrebbe forse un nuovo «spirito del capitalismo» o qualcosa di meglio del capitalismo. Ma non vedo all’orizzonte nuovi Marx.
Forse basterebbe anche un Hilferding, ministro socialdemocratico delle Finanze nella Repubblica di Weimar, autore, all’inizio del secolo scorso, di un mirabile Das Finanzkapital. E invece i ministri finanziari europei brancolano nel buio. Anziché prendere atto, dopo la bancarotta della Grecia, che è stata una tragica illusione quella di pensare che l’euro ci avrebbe immunizzato da ogni pericolo e domandarsi se non fosse il caso di ripensare radicalmente l’Uem, magari creando un’Unione monetaria più piccola, ma anche più solida, ci si è limitati a rendere ancora più rigido e brutale il patto di stabilita di Maastricht. Ora, ci avessero chiesto di versare lacrime e sangue per i valori cristiani dell’Occidente, per la difesa della Patria, dell’ambiente naturale o persino per il comunismo; insomma, se ci avessero fatto almeno balenare qualche ideale per cui valesse la pena fare dei sacrifici, saremmo anche stati disposti a farli. Ma niente di tutto questi: dobbiamo svenarci per consolidare l'euro. «E no, signori - risponderebbe lo speculatore - chiedete troppo e offrite troppo poco. Non ci sto». Certo, mi si potrebbe replicare che i sacrifici non sono per una moneta, ma per alcuni Stati che stanno rischiando il default. Non è bastato socializzare le perdite delle banche, di cui siamo pagando ancora il conto, che già ce ne presentano un altro, ancora più salato: il debito di alcuni Stati dell’Unione poco virtuosi sarà ripartito fra tutti i cittadini europei. Questa è sembrata la scelta più ovvia: per i nostri ministri non ci sono alternative. Già lo si è fatto per le banche, ora lo faremo per gli Stati. Ma è veramente così naturale questa soluzione?
Immaginate che d’improvviso qualcuno ci bussi alla porta di casa e ci faccia il seguente ragionamento: «Scusa se ti disturbo, ma sono nelle canne. Potresti pagarmi tutti i debiti che ho accumulato nel corso degli anni?». Io non so voi cosa fareste. Per parte mia gli rifilerei un calcio nel sedere. Fosse un familiare, un parente, un amico o persino il mio vicino di casa, agirei diversamente, ma non mi si può chiedere di essere solidale verso dei completi estranei. Ebbene, è questa cosa del tutto innaturale che oggi ci viene richiesta come la quella più normale di questo mondo. Ne va dell'Europa, ne va dell'euro.

Prima di tutto ne va di me e di chi mi sta vicino, poi di quelli a cui vorrei stare vicino. Ma di questa Europa evanescente e della sua fragile moneta, ormai ne abbiamo piene (ahimè, vuote) le tasche.
*Ordinario di Filosofia del Diritto

all’Università di Genova

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