Anatema anti-Occidente

Che i titoli in inglese non si traducano più, per risparmiare sulla grafica dei manifesti, è amaro ma logico. Illogico è che li si traducano male, come nel caso di V for vendetta di John McTeigue. Presentato all'ultimo Festival di Berlino, il film esce domani come V per vendetta, anziché V come vendetta. Ma, improprietà o no, il fumetto di Alan Moore e David Lloyd (Rizzoli), ideato contro la Thatcher un quarto di secolo fa, ha ora trovato il clima giusto per superare l'àmbito britannico, grazie agli americani fratelli Wachowski della serie Matrix. In un futuro che, sulla carta, era il 1997 e che, sullo schermo, è stato procrastinato, V per vendetta presenta un capitalismo in difficoltà, che all'anarchismo economico affianca la repressione politica dei «diversi». La Gran Bretagna è dominata da un potere televisivo e non ha più l'habeas corpus, proprio come gli Stati Uniti della realtà odierna. Ciò ha indotto i Wachowski a pensare che il pubblico americano potesse identificarsi nella vicenda di un evaso da un campo di concentramento (Hugo Weaving, l'agente dell'Fbi dei Matrix) che conduce una personale resistenza al governo. È sfigurato - perciò porta una maschera - per gli esperimenti su di lui quando era detenuto. Ma l'aver fatto da cavia l'ha reso più forte degli altri uomini. E poi la maschera adottata è simbolica: raffigura Guy Fawkes, che nel 1605 tentò di far saltare il Parlamento. Un tipo simile non sarebbe piaciuto a Togliatti, per esempio, ma quella stagione politica pare finita: la sinistra è regredita da un lato al pacifismo, dall'altro al terrorismo. Così la lotta per il potere si riduce alla banale vendetta del titolo.

Per una gioventù disorientata, V per vendetta - banale e brutto come sanno essere i film tratti dai fumetti - è perfetto.

V PER VENDETTA di John McTeigue (GB/Usa, 2005), con Hugo Weaving, Natalie Portman. 132 minuti

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