nostro inviato a Capri (Napoli)
È stato uno dei grandi
elettori del governo Prodi,
uno dei protagonisti silenziosi
dell'ultima campagna elettorale
e dei picconatori del
consenso del governo Berlusconi.
Dall'inchiostro della
sua penna è uscito un editoriale
che ha fatto discutere
ed è entrato dritto dritto nella
storia del giornalismo italiano,
attirandogli moltissime
critiche e un calo di copie
vendute. Un endorsement,
pubblicato nei primi mesi
del 2006, con il quale Paolo
Mieli decise di esporsi in prima
persona a favore di Romano
Prodi, schierando a sinistra
il Corriere della Sera.
Una scelta che significò la fine
del suo tradizionale «terzismo
» e venne motivata
mettendo nero su bianco
due convinzioni: il cambio
della guardia a Palazzo Chigi
avrebbe rappresentato un
antidoto all’immobilismo politico
e la coalizione di centrosinistra
si sarebbe dimostrata
più coesa attorno al proprio
leader.
Da allora molto è cambiato.
Il carico di speranze acceso
dal governo dell'Unione è
evaporato nel giro di pochi
mesi. La sinistra radicale ha
dimostrato in pieno il suo potere
di interdizione. E oggi
l'esecutivo versa in uno stato
comatoso, cristallizzato nel
bozzolo delle sue insanabili
contraddizioni. Di
fronte a questo
scenario il direttore
del Corriere della
Sera, convocato
al convegno dei
giovani di Confindustria
per parlare
di temi neutri
come libertà economica
e trasparenza,
compie un
gesto in qualche
modo clamoroso. Prende il
microfono e lancia quella
che definisce una critica «da
commentatore»: una sorta
di j'accuse che assomiglia anche
a un personale mea culpa.
Una sortita che si potrebbe
paragonare al blitz berlusconiano
di Vicenza o a quello
di Nanni Moretti a Piazza
Navona.
Una scossa, insomma, inattesa, decisa, dura e tagliente. E un attacco che si può riassumere così: battete subito un colpo o staccate la spina, andatevene a casa. «Fate, fate subito e non rinviate. E se non vi muovete vi conviene portarci alle urne al più presto», dice Mieli. Bisogna accelerare sulle riforme e sul taglio del numero dei ministri, aggiunge. Due priorità che il governo dovrebbe mettere in agenda senza ulteriori tentennamenti. «Per qualche minuto - dice - parlerò non da direttore ma da semplice commentatore. Voglio parlare ai dirigenti del centrosinistra. Voi siete quelli della riforma Bassanini sulla riorganizzazione e sull’abbattimento del numero dei ministeri. E cosa avete fatto? Un governo con il record dei ministri nella storia della Repubblica italiana».
Lo sguardo si sposta poi verso il peccato originale di un esecutivo che ha scelto di andare dritto per la propria strada a dispetto dei numeri e del pareggio uscito dalle urne. «Dopo il voto il capo dell' opposizione vi ha teso la mano e voi avete rifiutato la sua offerta. Guardate la Merkel, non è andata in giro a dire ho vinto ma ha fatto una grande coalizione. Quella era la strada». E ora è tempo di voltare pagina: «Fatelo subito, fatelo domani mattina, altrimenti è meglio che non facciate tutte quelle chiacchiere sui tagli dei parlamentari e dei ministri. Questo è il momento di dare una risposta e non certo a me che non penso a entrare in politica e non ho ambizioni di alcun tipo. È ora di dare una risposta per potere andare al ristorante e non essere disturbati da persone che ti apostrofano con male parole. E parla, come voi sapete, una persona che per questo governo ha speso nel suo piccolo una parola decisiva». L'affondo è concluso.
E dalla platea parte un applauso che dopo tanti scrosci distratti, accennati o cortesi, assume la forma di un’ovazione. Un segnale liberatorio da parte di un consesso che, evidentemente, si riconosce in questo messaggio di protesta rivolto al governo. Un messaggio che lascia il segno anche sul dibattito successivo, con il ministro delle Politiche Giovanili Giovanna Melandri che si mostra nervosa e infastidita dalla sortita del giornalista. L'esponente della Quercia allontana subito da sé lo spettro delle elezioni anticipate: «Non credo a questa scorciatoia. A parte il fatto che il governo ha tutto il diritto di continuare la propria azione, le elezioni non contribuirebbero a risolvere i problemi del Paese».
Ma poi non può fare altro che «raccogliere la palla», annunciando di essere pronta a rimettere il proprio mandato e ad assecondare la proposta di riduzione della compagine governativa, sposata due giorni fa anche da Walter Veltroni. La Melandri definisce «giusta» la proposta del candidato alla segreteria del Partito democratico.
Ma, aggiunge come «una scelta di questa portata non sia nella disponibilità politica di una singola persona ». Una formula utile a tenere ben distinta la teoria dalla pratica, a riporre le forbici, invocate con vigore da Paolo Mieli, e ad assicurare la (faticosa) sopravvivenza dell'ipertrofica compagine del governo Prodi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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