Anche i falchi volano basso: sulla giustizia si cerca l’intesa

RomaUna sentenza come un bicchiere mezzo vuoto. O mezzo pieno, a seconda dei punti di punti di vista. Il verdetto scontenta un po’ tutti ma alla fine sorridono all’unisono, sia i berluscones, sia gli antiberluscones (meno). I primi avrebbero voluto un’assoluzione piena che però non c’è; ma non c’è neppure una condanna come avrebbero voluto gli acerrimi nemici dell’ex premier. Per cui si applaude. I secondi avrebbero voluto una condanna che però non c’è; ma non c’è neppure un’assoluzione piena come avrebbero voluto i legali del Cavaliere. Per cui si applaude.
Di fatto la sentenza sembra scrivere l’ultimo capitolo del lunghissimo libro della persecuzione giudiziaria cui è stato oggetto Berlusconi. Un tomo altissimo, le cui prime pagine vennero scritte nel 1994 con la discesa in campo, e che sta per giungere all’epilogo in coincidenza con la dipartita di Berlusconi da palazzo Chigi. Vero, c’è ancora il procedimento Ruby; ma il processo sembra morto già prima di nascere. E qualcuno nel Pdl, dietro rigoroso anonimato, aggiunge pure: «La sentenza dimostra che l’accordo politico ha retto. A tutto vantaggio di Monti». Indimostrabile ma attraente lettura. E il fatto che Berlusconi non sia stato abbattuto per via giudiziaria ma che politicamente sia fuori da palazzo Chigi potrebbe aprire una svolta sulla riforma della giustizia. E sai mai che il clima inciucista che si respira in Parlamento non porti anche, archiviate le battaglie nei palazzi di giustizia attorno a Berlusconi, ad affrontare tutti insieme il problema giustizia.
Il Terzo polo, sia con Casini sia con Bocchino, parla di «presunzione di innocenza» e di «sentenze da rispettare» mentre Bersani lascia aperta la porta ma si dimostra prigioniero del Cav: «Finché ci sono questioni ad personam è sempre complicato ma non vedo l’ora che si possa parlare di giustizia per i cittadini». Riforma in vista, quindi, approfittando della grosse koalition all’amatriciana? La Finocchiaro farebbe pensare di sì: «È meglio che il Pdl abbassi i toni nei confronti dei magistrati».
Le reazioni a caldo della politica, tuttavia, schiumano delle (forse ultime) incrostazioni ideologiche dell’antiberlusconismo. Riecheggia nelle parole di Donatella Ferranti (Pd), che mostra il lato triste del suo partito per la mancata condanna: «Oggi lo Stato ha perso». O come quello di Vendola: «Ingiustizia è fatta». Colpevole comunque, insomma. Di Pietro va oltre: «Ancora una volta la prescrizione salva Berlusconi dalle sue responsabilità. I giudici non hanno potuto procedere all’assoluzione “per non aver commesso il fatto” perché, evidentemente, il fatto l’ha commesso eccome».
A rispondere a Tonino, mezzo Pdl. La Russa scuote la testa: «Le dichiarazioni di Di Pietro sono la cosa peggiore di questa giornata; è incomprensibile - spiega l’ex ministro - la valutazione di una persona che, se non sbaglio, è laureata in giurisprudenza, e ribalta il significato della prescrizione attribuendo a Berlusconi comportamenti che, a suo avviso, l’hanno determinata». Anche Francesco Paolo Sisto graffia: «Di Pietro dimentica i fondamentali del diritto: applicare la prescrizione non significa affermare la responsabilità dell’imputato e ricorrervi non è un diritto ma un dovere del magistrato». E ancora: «I giudici non se la sono sentiti di dire “Ho andato”...». Come a dire: non si sono piegati alle forzature auspicate dal pm. Ma anche i berluscones mostrano due facce: una triste per la mancata assoluzione, con Osvaldo Napoli: «A Milano tutto finito bene? No, è finita malissimo. Perché la prescrizione non rende giustizia all’innocenza dell’imputato Berlusconi»; e l’altra felice, come quella di Antonio Mazzocchi e Beatrice Lorenzin per i quali questa «è una giornata storica in cui lo stato di diritto ha avuto la meglio sull’uso politico della giustizia. Almeno una normativa vigente che prevede la prescrizione è stata applicata in modo chiaro e trasparente, senza le forzature che avrebbe auspicato il pm De Pasquale». A metà strada l’altro avvocato Pdl, Maurizio Paniz: «Non sono né entusiasta né amareggiato. La sentenza è figlia del nostro sistema». Ma di fatto è De Pasquale, il pm, il grande sconfitto della partita.
Si va dallo scherno di Enrico Costa: «Al pm regaleremo un calendario e una calcolatrice», alla «twittata» di Angelino Alfano: «È finita la folle corsa del pm e il tentativo di taroccare il calcolo della prescrizione pur di ottenere una condanna, solo morale, di Berlusconi». Gasparri, invece, è serissimo: «L’accusa ha detto il falso sui tempi di prescrizione. Il pm De Pasquale non può restare nella magistratura».

L’ex ministro Anna Maria Bernini si chiede invece il senso di un tale dispiegamento di forze da parte della magistratura: «Solamente l’accanimento politico di certi pm ha giustificato l’accanimento giudiziario contro Berlusconi».

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