Anche i socialisti vogliono licenziare Prodi

Boselli: "Il governo non durerà a lungo, ha perso la sua spinta propulsiva. Probabili nuove elezioni e la crisi coinvolgerà anche il Pd". Unione in fibrillazione. Ferrero: "Offensiva centrista contro l’impianto della coalizione. Rutelli dica chiaro se vuole una nuova maggioranza con Casini"

Anche i socialisti vogliono licenziare Prodi

da Roma

Lui le liquida come «sciocchezze », ma il fatto stesso che a Giuliano Amato sia stato chiesto ieri di commentare l’ipotesi di un «suo» governo per il dopo Prodi la dice lunga sullo stato delle cose, dalle parti dell’Unione. A fotografarlo con chiarezza è il leader dello Sdi Enrico Boselli: il governo Prodi «non durerà a lungo », perché «ha perso la sua spinta propulsiva e non riesce ad avere quel colpo d’ala che potrebbe rianimarlo». Eppure, lo stesso Boselli si mostra scettico sulla possibilità di scenari alternativi: secondo l’esponente socialista, «non bisogna farsi eccessive illusioni sulla possibilità di evitare elezioni anticipate se il governo entrerà in crisi».

Un argomento, questo, che riecheggia da vicino il pensiero dello stesso Prodi, convinto che «apres moi le deluge»: se il centrosinistra lo fa cadere, finisce dritto nel baratro della sconfitta elettorale, perchémaggioranze diverse non sono possibili e quella che c’è, per quanto disastrata, imploderebbe senza di lui. Boselli ricorda però che il presidente Napolitano «ha più volte affermato che non si può andare a votare con questa legge elettorale», il che potrebbe aprire la strada ad ipotesi di governi tecnici di «larghe intese » per riformare le regole del voto. «Mi pare però difficile che Berlusconi preferisca una grande coalizione a un ricorso immediato alle urne». Dunque, «tutto congiura per la crisi, nella quale a essere messo in discussione sarà non solo il governo, ma anche il nascente Partito democratico». Un monito chiaro a Walter Veltroni, che peraltro è il primo a paventare una crisi ravvicinata.

Crisi in cerca d’autore, per ora, visto che le due anime della maggioranza sembrano impegnate in un frenetico gioco del cerino. La logorante trattativa sulle pensioni si sta trasformando in una prova di forza tra riformisti e massimalisti, e Rifondazione sta tentando disperatamente di uscire dal cul de sac in cui è finita: dovranno digerire un aumento dell’età pensionabile, ma chiedono a Prodi di renderlo più indolore possibile. E accusano l’ala riformista della coalizione di alzare la posta per far saltare il tavolo del governo. Franco Giordano incita il premier ad «essere il garante del programma contro chi vuol spostare l’attenzione su un altro campo», e a tenere ferma «la barra della coalizione », nella quale «le tensioni arrivano tutte dal campo ulivista».

Il ministro Paolo Ferrero denuncia un’«offensiva centrista che attacca l’impianto della coalizione» e sfida apertamente Rutelli: «Dica se vuol fare una nuova maggioranza con Casini ed eviti di mandare messaggi poco chiari». Ma lo stato maggiore Prc deve fare i conti con una minoranza interna sempre più insofferente alla «gabbia » del governo. «Con Prodi non c’è stato nessun cambiamento rispetto al centrodestra», denuncia Cremaschi, dirigente Fiom. Il senatore Giannini annuncia che chiederà al Comitato politico di «ritirare la delegazione dal governo se Prodi non cancellerà lo scalone ». Se pure Giordano e Bertinotti daranno via libera a un accordo sulle pensioni, non sono in grado di garantire che la loro fronda interna non lo impallini.

Sul fronte Ulivo (dove è in corso la resa dei conti tra il gruppo del Senato e i «dissidenti» sull’ordinamento giudiziario Manzione e Bordon, che denunciano «l’implosione » del gruppo presieduto da Anna Finocchiaro), il «manifesto » di Rutelli continua a causare contraccolpi. Per la dura critica al governo, dalla quale Walter Veltroni (che aveva dato il suo avallo all’iniziativa, assicurano i rutelliani) ha dovuto prendere le distanze, e che ha fatto imbestialire Prodi, ma soprattutto per lo scenario di «alleanze mobili» che disegna per il futuro. Con l’obiettivo di scomporre i poli attuali, liberare il Pd dal giogo dell’alleanza con la sinistra e tendere una manoall’altra sponda, prefigurando un sistema elettorale alla tedesca.

E d’altronde anche Piero Fassino, pur irritato per la «provocazione» rutelliana «in un momento così difficile », è consapevole del fatto che se il governo dovesse fallire «è impensabile ripresentarsi agli elettori con la stessa formazione». Il count down per l’Unione è iniziato.

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