Anche il Libano aspetta con impazienza una tregua a Gaza

I residenti del Sud temono una nuova guerra con Israele e con i lanci di razzi sono aumentati i visti per l'estero

Anche il Libano aspetta con impazienza una tregua a Gaza

Tra coloro che aspettano con impazienza una tregua tra Hamas e Israele nella Striscia di Gaza ci sono anche i residenti dei villaggi del Sud del Libano, roccaforte di Hezbollah. L'inizio dell'operazione "Piombo fuso" contro il movimento islamista palestinese ha fatto temere l'apertura di un secondo fronte al Nord. Hassan Nasrallah, leader delle milizie sciite appoggiate e finanziate da Iran e Siria, ha infiammato gli animi con la sua retorica. Fino a pochi giorni fa: "Se gli israeliani esagerano – ha detto – la seconda guerra del Libano del 2006 non sarà nulla paragonata a quello che abbiamo in serbo per loro".

Le sue parole avranno anche dato carica ai miliziani e agli attivisti del Partito di Dio, ma hanno sicuramente spaventato i residenti del Sud, già in allerta dopo le dichiarazioni di Gadi Eisenkot, comandante per il fronte settentrionale dell'esercito israeliano: "Quello che è successo nei sobborghi meridionali di Beirut – ha detto riferendosi ai bombardamenti mirati contro le infrastrutture di Hezbollah nel 2006 – accadrà in tutti i villaggi". Quanto basta per mettere in azione la popolazione: secondo diversi giornali libanesi e internazionali, i residenti del Sud, abitanti dei villaggi vicini al confine, hanno fatto provviste di cibo e bombole del gas. Molti, secondo il sito Now Lebanon, avrebbero addirittura preso di mira consolati e ambasciate per avere passaporti in regola pronti per l'uso e visti.

A peggiorare la situazione sono stati i lanci di razzi degli ultimi giorni. Alcuni katiusha sono caduti sul Nord d'Israele, sulla città di Nahariya e hanno ferito due persone. Israele ha risposto con l'artiglieria, colpendo i villaggi di Dharia eTayr Harfa. I più sono saliti al volo su un taxi e si sono precipitati a Tiro, città costiera qualche chilometro più a Nord. E hanno aspettato, temendo il peggio. Le scuole sono state chiuse. I soldati dell'Unifil, la missione internazionale d'interposizione, sono subito usciti in perlustrazione per capire chi ha lanciato i missili.

Hezbollah ha fatto sapere di non avere a che fare con i katiusha. I sospetti ricadono su gruppi palestinesi, provenienti dai campi profughi attigui, che agiscono spesso in coordinazione con il Partito di Dio. Nello specifico, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina-Comando Generale di Ahmad Jibril, leader in esilio a Damasco. "Non vogliamo un'altra guerra con Israele", ha detto al Wall Street Journal Suhair Hammoud, maestra trentenne del paese di Habbariya, a pochi chilometri del confine. Per altri, però, la retorica della "resistenza a Israele" resta valida.

I fantasmi del 2006 sono stati risvegliati, ma gli analisti assicurano: Hezbollah non ha interesse ad aprire un nuovo fronte, nonostante sia ben armato non può permettersi, a pochi mesi da importanti elezioni politiche, di alienarsi l'elettorato, in un periodo in cui la parola d'ordine nel Paese è dialogo nazionale. Eppure, dice l'esperto Paul Salem, del Carnagie Institue di Beirut, "è un momento molto rischioso per l'intera regione e specialmente per il fronte libanese".

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