Anche le élite di sinistra si sono accorte del caos giustizialista

Leggendo l’intervista a Guido Rossi di Daniele Manca sul Corriere della Sera si ha per molti paragrafi l’impressione del già visto, i soliti giudizi sprezzanti sul «marketing» berlusconiano (nel caso conditi anche da un po’ di anti-obamismo). Nelle parole del professore c’è persino qualche tocco di snobismo montezemoliano sull’opportunità dell’astensionismo quando gli elettori non sono più cittadini ma miserabili clienti. Però nel corso della conversazione ci si imbattè anche in una vera bomba: una critica esplicita, assai ben motivata e articolata, a precisi comportamenti della magistratura che finisce per avere un suo bel ruolo nel disordine presente.
Secondo un’analisi rossiana assai precisa e ficcante le minacce di pm e gip di commissariare Sparkle Telecom Italia e Fastweb costituirebbero un comportamento aberrante. Queste considerazioni arrivano dopo che anche il Financial Times si era accorto di procedimenti «penali» verso alcune delle maggiori banche per il caso dei derivati del Comune di Milano, accusati dal quotidiano inglese di essere singolari in punta di diritto. Certo era impossibile che una personalità come Rossi che è stata a lungo e in prima fila nella linea dell’opinionismo giustizialista avesse parole dure per esempio anche con i singolari interventi della procura di Trani. Però già la sua limitata presa di posizione rappresenta per qualche verso una svolta. Certo, poi Rossi condisce i suoi argomenti con una lode della stagione di Mani Pulite che sarebbe stata assai positiva perché consentì l’intervento dell’Europa. In parte in questa affermazione c’è anche il comprensibile premunirsi verso lo squadrismo del Fatto Quotidiano che colpisce sistematicamente chiunque rifletta sulle distorsioni della magistratura italiana: da Luciano Violante a Nello Rossi fino a Piero Grasso. Rossi, peraltro, ha poi qualche ragione nel distinguere Mani pulite da quel che succede oggi: nel primo caso si trattava di un’operazione politica alla sudamericana con uno stato maggiore di grande qualità. Ora siamo in una situazione africana in cui ogni sergente di una procurina di provincia monta sulla sua jeep e comincia a sparacchiare.
Però la radice del caos odierno si trova proprio nel 1992. Comprendiamo come Rossi ami le soluzioni elitistiche - tipiche di quel fantasma del partito Fiat che si vorrebbe rilanciare: a proposito del quale invito a leggere con attenzione un bravo giornalista come Giovanni Pons che ogni giorno sulla Repubblica scrive di manager scassati (persino criticati dall’altrimenti intoccabile Financial Times) che vanno salvati perché sono del «partito della finanza laica», con altri manager che avrebbero il compito di garantire laicità e antiberlusconismo - e l’idea che un gruppo di magistrati che chiama un gruppo di burocrati bruxellesi e rifà l’Italia, gli sia particolarmente congeniale. Però se si vuole cercare una soluzione autoritaria, bisogna essere più drastici, senza Ovra, Gestapo o Kgb, non si va avanti. Se invece si vuol procedere sul piano della democrazia bisogna essere consapevoli che la politica in una democrazia si ripara solo con la democrazia.


Il mantenere centri separati, autoreferenziali, in cui i controllori sono «eletti» dai controllati, in cui non c’è quel minino di contrappeso che nasce dalla divisione dei giudici dagli inquirenti, se si procede su questa via ci sarà il prevalere di poteri chiusi e il caos che per tanti versi colpisce una pur laboriosa Italia.

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