Londra - Piccina com’è, quasi non la riconosci sotto quell’enorme turbante di aigrettes rosa quando arriva sul palco cantando Better the devil you know, e sembra Mae West a Broadway o Joan Crawford quando cantava Singin’ in the rain, così morbida, sinuosa, indifferente al putiferio di mani e cellulari che ballonzola lì sotto in platea. C’è tutta la Wembley Arena, mica un posticino piccolo così, a salutare Kylie Minogue che con sette concerti consecutivi (questo è l’ultimo) ha detto hello! alla Londra che da un bel po’ è diventata la sua casa e che stasera se la coccola come sanno fare gli inglesi quando celebrano una rinascita, con quell’entusiasmo composto che qui vale come il più trionfale bentornato. A festeggiarla c’è anche Madonna, nascosta nei camerini dietro al palco bloccato dai bodyguard, vestita senza strilli perché stasera la star una volta tanto non è lei.
Kylie Minogue, che ha venduto milionate di dischi, che è stata votata il più bel (testuale) «culetto del pop», che ha fatto ammattire i rotocalchi con amorazzi e scandaletti, nel 2005 ha avuto, lo sanno tutti, un tumore al seno a trentasette anni, è finita in sala operatoria, ha sopportato la chemio con tanto di testa pelata e, raccontando la sua batosta, ha fatto impennare il numero di giovanissime che chiedono una visita medica preventiva. «Sono ancora un po’ stanca» ha detto qualche mese fa ma stasera non si direbbe a vederla qui in mezzo a undici ballerini, bellissimi e bellissime, in una passerella che ha la fragranza compiaciuta e variopinta del gay pride perché lei è un’icona e chissà come mai, forse è merito della sua esuberanza kitsch, dello strabismo stilistico o del vorace disimpegno con cui ha colorato la sua carriera.
Una volta spiegò: «Quando ho iniziato, sono stata massacrata dalla gente: forse per questo gli omosessuali mi capiscono», e sta a vedere che la seguiranno anche ora che giocoforza è cambiata, che ha perso quell’allure adolescente e disinibito che sul palco ormai affoga nella grandeur manieristica, qualche volta fredda, persino malinconica. In scena c’è pop purissimo e dozzinale, due tastieristi, poi chitarra, batteria e tre coristi molto indaffarati ma nessuno se ne accorge perché in fondo quello che conta è lo show, i cambi d’abiti (molti disegnati da Dolce & Gabbana), il susseguirsi mitragliante di scene, una sorta di love parade in sette atti coreografati, dalle fase «Athletica» con i ballerini sotto la doccia alla «Dance of the cybermen» con la passerella di androidi che si muove come in una guerra stellare del pop.
«Ci ho impiegato vent’anni a raggiungere tutto questo» urla subito lei che, se non è soffocata dall’elettronica come in I believe in you o nell’inedita White diamond, esibisce pure una vocina all’altezza, persino maestosa quando, all’inizio della seconda parte, scende dall’alto su di una mezzaluna d’argento cantando Somewhere over the rainbow, rilassata, fascinosa, inguantata in un lamée rosso che fa molto anni Cinquanta e molto poco erotismo a buon mercato. Passa qualche canzone, s’aggrovigliano i cambi d’abito, inizia il sesto atto e Burning up accoglie, ma è questione di un minuto, qualche sprazzo di Vogue, il brano di Madonna che annunciò una nuova epoca e che stasera la madre di tutte le popstar ascolta poco più in là, nel backstage, prima di tornarsene a casa a mezzora da qui, in Great Cumberland. Quando Kylie Minogue era in lista d’attesa all’ospedale di Melbourne, Madonna si fece fotografare indossando una t-shirt con il nome dell’amica stampato a caratteri d’argento, come a dire io ci sono, anche se resto dall’altra parte del mondo.
«Vogue l’ho dedicata a Madonna, non l’ho annunciato in pubblico perché era una cosa tra noi» ha poi detto Kylie agli amici. Invece tutti si sono accorti che per Kids è salita in scena Dannii Minogue, la sorella più giovane, quella più ribelle e svogliata: ha preso, lei così scatenata, il posto di Bono che ha duettato con Kylie nel concerto di Sidney (e domani esce il doppio cd di quella sera, Kylie Showgirl - Homecoming live).
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