Roma - Non poteva mancare il piccolo mistero, come al solito. L’assenza di Umberto Bossi nel giorno della verità scatena gli interrogativi e le dietrologie. Ma il banco vuoto del ministro delle Riforme si spiega in modo meno avvincente di una rottura in vista con il Cavaliere, una visita agli occhi, dopo l’operazione alla cataratta («Ci siamo sentiti stamattina, è tutto a posto» riferisce Maroni). L’attacco speculativo dell’opposizione, che ha puntato sui crolli delle borse per tentare una spallata al governo, ha sortito l’esito opposto, un ricompattamento tra Lega e Pdl dopo settimane di frizioni, e un inedito raffreddamento dei rapporti con il Colle, contro cui la Lega ha cozzato per la questione degli uffici ministeriali decentrati a Monza. L’ordine di scuderia è di tenere un profilo basso, «difendere il fortino», anche perché inizia la pausa estiva e tutto è rimandato a settembre.
Il discorso del premier è stato messo a punto nella notte, dopo un vertice a cui hanno partecipato, significativamente, anche Calderoli e Maroni. Ed è quest’ultimo, spesso indicato come tessitore di trame anti-berlusconiane, a dichiarare la valutazione della Lega sull’intervento del Cavaliere. «Un intervento molto concreto, molto preciso, sia nel metodo, il confronto con le parti sociali e con le opposizioni, sia nel merito», spiega Maroni, invece «deluso dall’intervento di Bersani, un po’ confuso e poco centrato». Insomma «la Lega è molto soddisfatta della linea dettata dal premier e cominceremo subito il confronto con le parti sociali sui quattro punti indicati dal presidente del Consiglio», conclude il ministro leghista. Paradossalmente qui più «berlusconiano» del capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, che nell’intervento dopo la relazione del premier chiede uno sprint in più alla maggioranza. «Spiazziamo le resistenze al cambiamento, realizziamo la grande riforma che abbiamo promesso agli elettori. Finora abbiamo giocato in difesa, ora giochiamo in attacco» dice il presidente dei deputati leghisti, che si rivolge ad Alfano, segretario del Pdl che aveva appena parlato, e gli chiede di «accelerare e dire tanti basta». Reguzzoni chiede al capo del governo di «ridurre la pressione fiscale», citando Ronald Reagan, che negli anni ’80 «abbassando le tasse aumentò le entrate del bilancio dello Stato. Negli Usa i tea party hanno un motto: “no more taxes”. Noi condividiamo il punto di visto dei tea party». Poi una frecciata all’indirizzo del Quirinale: «Non è ammissibile che il presidente della Repubblica, che è uno solo, abbia a disposizione 40 automobili».
L’opposizione che sperava in un distacco brusco della Lega (addirittura Fini ha proposto un «governo Maroni») esce inappagata da un giorno caricato di grandi aspettative. Bossi non ha la minima intenzione di togliere la fiducia al premier, «non c’è alternativa» all’asse Pdl-Lega, dice Reguzzoni all’aula, «la Lega è indisponibile a qualsiasi altro governo che non abbia alla guida Berlusconi. Si «inganna» chi pensa a «governi tecnici», ha aggiunto, che condurrebbero una «instabilità politica che porterebbe il Paese nel baratro».
Torna un tema già sollevato nei giorni di Pontida, cioè le banche, che hanno strozzato imprese e risparmiatori e che ora lavorano per governi tecnici. «C’è un unico punto su cui sono d’accordo con Bersani - dice il capogruppo leghista alla Camera -: è una crisi di liquidità. Ma c’è un colpevole e un regista: sono le banche. Le banche tornino a dare soldi alle imprese e alle famiglie per i mutui e smettano di speculare sulla caduta del governo». La decisione del premier, sollecitata da alcuni ministri e da Angelino Alfano, di incontrare le parti sociali è molto piaciuta ai vertici del Carroccio. Discutere anche con quei sindacati che minacciavano uno sciopero generale a cui Maroni e Calderoli dissero, solo un mese fa, di voler partecipare se nulla fosse cambiato.
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