Anche la mente ha diritto al «vuoto estivo»

Marcello D’Orta

Quando i Farisei domandarono a Cristo se fosse giusto pagare il tributo a Cesare, sperarono di coglierlo in fallo. Se infatti il Messia avesse risposto: «Quando mai! Non dategli un centesimo!», sarebbe risultata evidente la sua opposizione al potere; se invece avesse risposto: «Certamente! Anzi, versategli tutto, pure l’8 per 1000», era lecito pensare che desiderasse (e pure fortemente) far carriera a Roma. Gesù, che conosceva la loro malizia, uscì con la salomonica frase che conosciamo tutti.
In questi giorni di chiusura delle scuole, molti Farisei (giornalisti di radio, televisioni private, quotidiani) mi hanno intervistato sulla questione compiti scolastici. Essi mi hanno posto la seguente domanda: «Rabbi, è giusto o no assegnare i compiti per le vacanze?». Questa gente ha sperato di cogliermi in fallo. Se infatti avessi risposto: «Ma lasciatele in pace quelle povere creature! Non le avete torturate abbastanza durante i mesi di scuola?», sarei passato per un eversivo, per uno che tende a creare disordine e smarrimento nell’ambito sociale, allo scopo di abbattere l’ordine costituito (una specie di Barabba scolastico); se invece avessi risposto: «Certo che è giusto! Quegli scansafatiche che sono gli studenti devono morire sui libri, e con loro i genitori!», sarei passato per un oppressore delle creature, un tiranno siracusano, un Pol Pot dei discenti.
Per togliermi dagli impicci, avrei dovuto rispondere come fra Cristoforo interrogato sulla liceità di bastonare un ambasciatore che porta una sfida: «Non son cose di cui io mi deva intendere». Ma non potevo farlo, perché di quelle «cose» mi sono «inteso» per circa vent’anni.
Ho dunque ricordato agli intervistatori che esiste una circolare ministeriale (20 settembre 1971, numero di protocollo 001/STC) che al punto 6 dice: «È stata più volte ribadita in numerose ordinanze, disposizioni, circolari, l’inopportunità di svolgere interrogazioni nei giorni immediatamente successivi ai periodi di festività o di vacanza, o di esigere, dopo tali scadenze, la presentazione di compiti o elaborati. Si richiama al rispetto di tali disposizioni, anche perché risulta che esse non sempre sono state osservate».
Attraverso la cornetta del telefono ho udito un gran rumore di pietre. Evidentemente i Farisei, non potendo lapidarmi, hanno lasciato cadere i sassi, e «come un branco di segugi, dopo aver inseguita invano una lepre» son tornati a casa e sinagoghe «co' musi bassi, e con le code ciondoloni» (oggi sono in vena di riferimenti manzoniani).
Al Giornale, però, voglio dirlo tutto il mio pensiero sulla questione, senza trincerarmi dietro un no-comment. E il mio pensiero è questo: non c’è nulla di più sbagliato, nulla di più anti-pedagogico che imporre il sapere e la conoscenza nel periodo in cui un ragazzo vuole godere appieno il mare, la montagna, la piscina, il campeggio, le città d’arte, la Natura. Molti insegnanti sostengono che assegnare compiti per l’estate «è cosa buona e giusta» (oggi sono anche in vena di riferimenti evangelici) perché così i giovani «tengono in esercizio la mente». Ma la mente si tiene in esercizio non solo studiando l’algebra o l’italiano, ma anche intavolando una discussione morale o filosofica, o utilizzando il computer.

E anche se così non fosse, ci sarebbe da ricordare che questa benedetta mente ha sacrosanto diritto al riposo (ha diritto al «vuoto estivo») non fosse che per tornare in forma a settembre.
Il settimo giorno, Dio si riposò. Facciamo riposare anche i Suoi figli in grembiule.

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