Anche Svizzera e Lussemburgo cedono sul segreto bancario

È una svolta: Svizzera e Lussemburgo hanno accettato di ammorbidire il segreto bancario e di adeguarsi alle norme dell’Ocse. Non avevano scelta. Per anni erano riusciti a resistere alle pressioni internazionali. Ma la crisi finanziaria ha reso improvvisamente esigenti gli Stati Uniti e la Francia e la Germania. Di più: intrattabili. Tutti hanno bisogno di fondi, l’America più di ogni altro. E ora che le casse sono vuote bisogna cercarli ovunque si trovino. E nella sola Svizzera è depositato oltre un terzo della ricchezza mondiale, quasi tutta al riparo da occhi indiscreti.
Gli Usa cercavano da tempo un pretesto e le vicissitudini dell’Ubs lo hanno fornito. Gli agenti delle tasse hanno scoperto che la banca svizzera aiutava i contribuenti americani a frodare il fisco e Obama, senza rispettare il normale iter giudiziario con la Svizzera, ha messo Berna con le spalle al muro: fuori i nomi o salta la licenza bancaria all’Ubs, che sarebbe stata così condannata al fallimento. E siccome la Confederazione non può permettersi di far fallire la sua banca più importante, ha ceduto, aprendo la strada ad altre rivendicazioni, in particolare da Parigi e Berlino, che non aspettavano altro.
Per una volta Stati Uniti e Unione europea hanno trovato facilmente l’intesa e hanno lanciato un ultimatum: adeguarsi o finire sulla lista nera dei paradisi fiscali. Il Liechtenstein ha ceduto subito; Svizzera, Austria, Lussemburgo hanno tentato di resistere, ma quando hanno capito che non ci sarebbero stati margini per la trattativa hanno capitolato. Vienna formalmente non si è ancora espressa, ma il suo sì è scontato.
L’accordo salva le apparenze: nessuno dei tre Paesi abolisce il segreto bancario, ma salta la distinzione tra elusione e frode fiscale, che apre la via alla cooperazione giudiziaria anche in caso di inchieste riguardanti il mancato pagamento delle imposte. Insomma: se le autorità di un Paese chiederanno informazioni sull’esistenza di conti all’estero le otterranno più facilmente, mentre fino ad oggi trovavano la porta sistematicamente sbarrata.
E sono misure che non riguardano solo l’Europa: il tentativo è di normalizzare tutti i Paesi, nel mondo, che finora garantivano il segreto bancario. Andorra, Liechtenstein, Singapore, Hong Kong, le isole Cayman hanno già annunciato che rispetteranno le norme dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Altri resistono. Ma hanno pochi giorni per decidersi: ai primi di aprile il G20, che si riunirà a Londra, pubblicherà la lista dei buoni e dei cattivi. E chi sarà in quella sbagliata dovrà sopportare pesanti conseguenze economiche e finanziarie. Insomma, per i capitali in fuga dai finora accoglienti e discreti lidi europei non sarà facile trovare nuove destinazioni.
Non è un caso che l’Unione europea abbia accolto con estrema soddisfazione l'intesa. «È un passo nella giusta direzione», ha commentato un portavoce. Entusiasti l’Ocse e il governo francese, secondo cui «questi progressi sono il risultato della mobilitazione internazionale». Solo Berlino tace. Non a caso.

Il ministro delle Finanze Peer Steinbrück pretende da tempo concessioni ancora più ampie sul segreto bancario. Ed è questa l’ultima incognita: la Germania si accontenterà o pretenderà da Lussemburgo, Austria e Svizzera la resa totale?
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