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La Ragioneria dello Stato: con lo scalone di Maroni risparmi per 150 miliardi

da Roma

Se i conti della previdenza italiana rimarranno in equilibrio sarà solo perché saranno applicate tutte le riforme in vigore. La Dini, con i suoi coefficienti di trasformazione e la Maroni con lo scalone, quindi lo scatto nell’età pensionabile da 57 a 60 anni con 35 annualità di contributi a partire dal 2008 che dovrebbe essere o modificato o abolito dal governo. La diagnosi porta la firma della Ragioneria generale dello Stato e quindi di un organismo che fa parte del ministero dell’Economia. Ed è contenuta in uno studio che riguarda le previsioni di spesa per le pensioni fino al 2050 nel quale sono riportati dati molto simili a quelli che Tommaso Padoa-Schioppa cita quando cerca di convincere i colleghi ministri e i radicali della maggioranza a puntare sui risparmi.
Come quelli della riforma Maroni. Lo scalone condizionerà i conti della previdenza in modo «significativo» e consentirà un risparmio di circa 10 punti percentuali di Pil dal 2008 al 2025, equivalenti a circa 150 miliardi di euro. La percentuale della spesa previdenziale rispetto al Pil passerà dal 14,1 per cento del 2005 al 14,3 per cento del 2010 al 14,1 per cento del 2015. Poi comincerà a risalire. La gobba previdenziale (cioè il momento in cui non basteranno più i contributi dei lavoratori per pagare le pensioni) sarà attutita grazie alla Maroni. Ma diventerà necessaria anche l’altra misura pro-risparmi, cioè l’aggiornamento dei coefficienti di trasformazioni, previsto dalla riforma Dini la cui applicazione sarà di «assoluta rilevanza». La mancata revisione comporterà una maggiore spesa che nel 2040 è quantificabile in un punto e mezzo di Pil e di due punti negli anni successivi.
Nessun commento diretto del ministro dell’Economia che ieri si è limitato parlare di previdenza durante un intervento in pubblico, sottolineando come il settore della previdenza italiano sia «ipertrofico» rispetto agli altri paesi europei. La sua posizione sulla previdenza è nota e a richiamarlo alla ragione politica, ci ha pensato il ministro del Lavoro Cesare Damiano: «Noi dobbiamo guardare anche all’aspetto sociale».
Sul fronte sindacale, il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni ha ribadito la sua disponibilità a un innalzamento dell’età pensionabile, facendo capire che il pasticcio dell’abolizione dello scalone è da imputare alla politica. «Sono sei mesi che lo diciamo di fronte a un governo che aveva proposto di superare lo scalone, ma non con i propri soldi, attraverso una revisione del sistema previdenziale. E si è impantanato». Il problema, sostiene il segretario generale dell’Ugl Renata Polverini, è sapere «quale percentuale del loro già misero e precario stipendio si troveranno in tasca i giovani se e quando andranno in pensione».
Un calcolo delle pensioni future (a partire dal 2012) e di quanto inciderà la previdenza complementare, è contenuto nello stesso documento della Ragioneria. Un lavoratore dipendente che va in pensione a 63 anni con 35 anni di contributi prendeva nel 2005 il 70,7 per cento della propria retribuzione mentre nel 2050 prenderà appena il 51,6 per cento.

Con le quote di Tfr alla previdenza complementare prenderà il 63,6 per cento. Gli autonomi prenderanno il 36,5 per cento dello stipendio, che potrà salire al 48,6 per cento se verseranno il 6,91 per cento del loro reddito a un fondo pensione.

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