Ancora fango dagli Usa. La Santa Sede: «Falsità»

Mentre arrivano da tutto il mondo messaggi di solidarietà a Benedetto XVI per gli attacchi che sta subendo, la Santa Sede getta acqua sul fuoco delle polemiche suscitate nel mondo ebraico dalle parole pronunciate il Venerdì Santo dal predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, il quale, citando la lettera di un amico ebreo, aveva paragonato gli attacchi contro la Chiesa all’antisemitismo. «Avvicinare gli attacchi al Papa per lo scandalo pedofilia all’antisemitismo non è la linea seguita dalla Santa Sede», ha spiegato il portavoce della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi ai microfoni di Radio Vaticana, cercando di smorzare le durissime reazioni da parte del mondo ebraico. «Padre Cantalamessa – ha continuato Lombardi – ha solo voluto rendere nota la solidarietà al Pontefice espressa da un ebreo, alla luce della particolare esperienza di dolore subita dal suo popolo».
Ma nella giornata di ieri, Sabato Santo, un nuovo colpo contro Benedetto XVI è arrivato dall’Arizona, riportato sulla prima pagina del quotidiano Daily Star. Si tratta della storia di un prete pedofilo per il quale il vescovo aveva chiesto una punizione severa dovendo però attendere alcuni anni prima della sentenza definitiva da parte vaticana. Il vescovo Manuel D. Moreno aveva scritto nel 1997 al cardinale Ratzinger per chiedergli di accelerare per quanto possibile la riduzione allo stato laicale di padre Michael Teta, riconosciuto colpevole di abusi dal tribunale della diocesi di Tucson dopo un processo durato sette anni e condannato alla dimissione dallo stato clericale. Teta aveva però fatto appello contro la sentenza alla Congregazione per la dottrina della fede. Il provvedimento definitivo sarebbe arrivato nel 2004. Padre Lombardi, in una nota diffusa ieri mattina, ha precisato che la presentazione mediatica del caso di padre Teta è «fuorviante». «Dalla documentazione risulta infatti con chiarezza e certezza che i responsabili della Congregazione per la dottrina della fede — a cui la diocesi si era rivolta trattandosi di un caso che riguardava il crimine di “sollecitazione” nel sacramento della penitenza — si sono più volte interessati attivamente nel corso degli anni Novanta perché il processo canonico in corso nella diocesi di Tucson fosse portato a termine debitamente (ciò che avvenne nel 1997, con sentenza di riduzione allo stato laicale)».
«Il reverendo Teta – ha continuato il portavoce vaticano – presentò però appello contro la sentenza e il suo ricorso pervenne al tribunale della Congregazione quando era stata già avviata la revisione delle norme canoniche precedentemente in vigore. Gli appelli rimasero perciò pendenti fino all’entrata in vigore della nuova legislazione nel 2001. Dal 2001 tutti gli appelli pendenti furono tempestivamente trattati, e quello del caso Teta fu uno dei primi a essere discusso. Ciò richiese del tempo, anche perché la documentazione prodotta era particolarmente voluminosa. In ogni caso, la sentenza di primo grado venne confermata in toto, con la conseguente riduzione a stato laicale nel 2004.

Non si deve dimenticare che anche quando gli appelli rimangono pendenti e la sentenza è sospesa, sono in vigore le misure cautelative imposte dal vescovo all’imputato. Infatti — conclude la precisazione di Lombardi — Teta era già sospeso dall’anno 1990». Ancora un volta, dunque, un caso montato sul nulla per imputare alla Chiesa ritardi o coperture, peraltro inesistenti.

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