Ancora Milan flop. E Dida dalla panchina finisce in barella

A Parma scialbo 0-0: i rossoneri giocano solo il secondo tempo. L’emozione maggiore è il colpo della strega che colpisce il brasiliano

Ancora Milan flop. E Dida dalla panchina finisce in barella

nostro inviato a Parma

Due pareggi in quattro giorni. Messa così la sentenza è scritta: il Milan rallenta vistosamente dopo lo sprint promettente (cinque squilli in sei partite) realizzato per la rimonta al quarto posto. È l’effetto Champions, potrebbe suggerire qualche critico benevolo. E invece no. Si tratta di altro, come dimostra per esempio il comportamento dell’Inter col Livorno, ieri pomeriggio. Si tratta infatti del diverso peso tecnico accusato dal gruppo delle seconde linee rossonere sulla bilancia della partita. Con Cafu più Emerson e Serginho, aggiunti all’irriconoscibile Gattuso (reduce da un infortunio muscolare serio), il Milan fatica a mettere sotto il Parma, anzi ne è messo in difficoltà quando, infilato in velocità, sia pure senza correre rischi gravi, nella seconda frazione raccoglie tutti appena la presenza di Budan e Gasbarroni restituisce all’attacco locale maggiore consistenza. D’altra parte che la cifra tecnica e l’anzianità anagrafica del Milan due siano limiti vistosi e decisivi della rosa campione del mondo è un nostro vecchio cavallo di battaglia. Nelle sfide secche può diventare un’arma letale, alla lunga disarma le velleità milaniste. È vero, ci sono eccezioni strepitose alla regola come l’eterno Maldini, ma resistono talune conferme che dovrebbero suggerire, per il futuro, un cambio di rotta. E qui non conta solo la prova insoddisfacente di Serginho, oppure la sostituzione di Gattuso in ritardo.
Semmai bisogna segnalare l’accaduto all’intervallo quando Dida, portiere in panchina, colpito dall’ennesimo colpo della strega, resta «fulminato» mentre sta per sollevarsi e rientrare negli spogliatoi. Devono soccorrerlo, massaggiarlo, prima di trasportarlo in barella al calduccio e poi riportarlo a casa in serata. Non è un malanno di stagione, semmai è malattia professionale, come dimostra il tormento di Buffon, ma il brasiliano da troppo tempo ne è vittima. In Giappone, a Yokohama, lo trovarono piegato in due e bloccato dentro l’ascensore dell’albergo milanista. Mercoledì sera, col Livorno, Dida rimase, per lo stesso motivo, a casa lasciando la panchina a Fiori. Forse è il caso di arrendersi all’evidenza e di prenotare un portiere per l’avvenire. Nel frattempo Kalac continua a fare il fenomeno: finché dura c’è stropicciarsi gli occhi.
Dopo l’intervallo, quando intervengono Pirlo e Gilardino, con Kakà che retrocede a tre-quartista, il Milan ridiventa una squadra e riesce a essere padrone del campo e del gioco. A questo punto infatti sfiora, ripetutamente, il vantaggio con Kakà (Bucci, lesto come un gatto, devia in angolo), con Inzaghi, con Gilardino, persino con Emerson, segno palese del dominio esercitato. Il Pallone d’oro, al rientro dopo opportuno riposo, non è in gran spolvero; Seedorf, atteso al recupero scontato, non può considerarsi al meglio. E sul conto di Pato bisogna attendere mercoledì sera per sapere se può debuttare in Champions League con qualche possibilità di recitare almeno un pezzo della sfida londinese. Non è un gran Milan, per sintetizzare.

Logoro nel suo reparto più affidabile (centrocampo), incompleto in attacco, con la sua punta di diamante, Kakà, alle prese con una ripresa macchinosa, con troppi esponenti (Jankulovski, Gattuso) alle prese con i recuperi fisici. Ma neanche l’Arsenal se la passa benissimo a giudicare dalle quattro sventole rimediate sul muso dallo United.

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