Cronaca locale

Anderson con arpa e tastiere porta gli Yes al Conservatorio

La «voce» storica della banda inglese presenta il suo «Work in progress»

Antonio Lodetti

Riprende stasera, alla Sala Puccini, la fortunata rassegna «Diversi suoni al Conservatorio» organizzata dalla Barley Arts. C’eravamo lasciati con il rock progressivo dei Van Der Graaf Generator e riprendiamo sulla stessa scia con Jon Anderson, storica voce e chitarra degli Yes, che (nel suo unico concerto italiano) presenta «Work in progress Tour of the universe». Accompagnandosi alle chitarre, all’arpa e alle tastiere (con sottofondi registrati) presenta nuovi brani come Father Sky e This Is, pagine tratte dal repertorio degli Yes come Yours is no disgrace e The revealing science of God, pezzi tratti dalla sua collaborazione con Vangelis come State of indipendence, vecchio hit di Donna Summer ora inciso da Anderson come cd singolo(per gli appassionati il tutto è raccolto nel dvd Tour of the universe).
Il titolo «Work In progress» lascia intendere che sarà un concerto all’insegna dell’improvvisazione.
«Certo, la notte è magica ed ogni notte è diversa dalle altre. Così a seconda del momento, aggiungo nuove canzoni o le interpreto in modi differenti. Nel mio show c’è anche una parte in cui spiego le canzoni e racconto la mia vita, come sono arrivato a questo percorso solista da “one man band“».
In scaletta ci sono nuovi pezzi e classici degli Yes.
«Sì, le mie nuove composizioni e quelle della mia storica band completamente riarrangiate».
Ma la sua attività con gli Yes prosegue?
«Certo, è l’altra faccia della medaglia. Abbiamo appena festeggiato 35 anni di attività con un dvd e siamo sempre in tournée insieme. Ma ognuno di noi coltiva i suoi interessi artistici come valvola di sfogo e di creatività».
Il suo nuovo singolo invece è State of indipendence scritto con Vangelis negli anni Ottanta. Come mai?
«È un brano di grande atmosfera e ricchezza sonora ed è un omaggio a Vangelis, uno degli artisti più geniali che io abbia mai incontrato».
Lei è la voce di culto del rock progressivo, quali cantanti le piacciono?
«Amo le voci chiare ed espressive, amo il bel canto di Maria Callas o quello ruvido e blues di Billie Holiday».
Si esprime meglio con gli strumenti acustici o con quelli elettronici?
«I suoni acustici sono inimitabili, creano un’atmosfera magica e particolare, ma io cerco l’anima dei suoni elettronici e dei computer. La tecnologia, se ben usata, produce suoni caldissimi ed emozionanti».
Il rock progressivo è ancora vivo?
«Certo, perché raccoglie in sé ogni genere di musica, dalla classica al jazz, dal blues all’avanguardia. Per questo è sempre vivo e in continua evoluzione».


Cosa pensa del rock di oggi?
«Noi siamo stati dei pionieri, degli architetti, e oggi ci sono musicisti fantastici, come gli Outkast, che propongono suoni splendidi e adatti ai nostri tempi».

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