Andrew Hill: un suono per palati fini

Franco Fayenz

È arrivato finalmente a Milano il compositore e pianista Andrew Hill, reduce da consensi significativi ottenuti al JazzFest di Vicenza appena concluso. Ha portato con sé Byron Wallen tromba, Jason Yarde sax soprano e sax alto, John Herbert contrabbasso ed Eric McPherson batteria. Giunto sulla soglia dei settant’anni, Hill non ha perduto nulla della sua nota indipendenza artistica che ha fatto di lui un grande isolato: suona quando, con chi e dove gli pare, restando anche a lungo lontano dai concerti e dai certami discografici; e propone quasi sempre soltanto composizioni proprie, spesso inedite e sconosciute. Ciò non toglie che negli ultimi tempi gli siano giunti riconoscimenti importanti come la qualifica di «disco dell’anno» per il suo cd Dusk (Palmetto Records, 2000) e nel 2003 il premio danese JazzPar, che è una sorta di Nobel del jazz. Da ultimo, molte soddisfazioni gli sta dando il cd Time Lines pubblicato nei mesi scorsi da Blue Note. Da questo album ha tratto Malachi e Time Lines, i soli brani riconoscibili del concerto. Non è facile la musica di Hill, non lo è mai stata neppure ai tempi d’oro dei sodalizi con Eric Dolphy, sebbene abbia evitato, di regola, i magmi informali.

Ma l’insolito mondo musicale hilliano è bastato per rendere un po’ freddino il pubblico del club Blue Note, e per costringere il direttore a concedere uno spazio fin troppo ampio al batterista McPherson. Fantasioso e metronomico, mai eccessivo, McPherson è stato davvero uno spettacolo nello spettacolo, specie (per i palati fini) come accompagnatore.

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