Il flop della procura di Pescara sul caso di Ottaviano Del Turco nasce, forse, dallaver dato troppo credito alle parole dellimprenditore-pentito Vincenzo Angelini (oggi indagato per bancarotta a Chieti) sulle mazzette ai politici abruzzesi. Non ci sono riscontri alle sue accuse. Non si trova un euro delle tangenti. Nessun indagato ha confessato e nessuno ha pensato di autoaccusarsi pur di sfuggire allonta del carcere. La sua parola contro il resto del mondo. Ha ragione, o torto, lex governatore Del Turco quando dice che Angelini ha mentito per salvare la pelle ed evitare la galera? Non lo sappiamo. Di certo, qualche dubbio viene dalla lettura del primissimo verbale dellimprenditore.
Quello del 12 aprile 2008, nel quale Angelini nega decisamente, e con argomentazioni convincenti, di aver mai dato un soldo ai politici. E questo nonostante, così, allimprovviso, mentre i pm lo interrogano sui buchi di bilancio della sua holding, su passaggi di soldi insoliti fra le società finanziate del gruppo e la finanziaria Novafin, sullenorme sponsorizzazione da 21 milioni di euro data a un team di motociclismo («Ma Angelini, su, la Roma Calcio per lo sponsor ha speso 3 milioni e voi tutti quei soldi per una striscia pubblicitaria invisibile sulla moto di Dovizioso? Al massimo si potevano spendere, uno, due milioni») gli chiedano se ha creato fondi neri per pagare qualcuno. Glielo domandano di continuo, gli dicono di pensarci bene, di fare mente locale. Allusioni, dirette e indirette, insistenti, assillanti e asfissianti domande. E lui, no, sempre la stessa versione: non ho pagato nessuno. Nega decisamente la concussione, scagiona Del Turco e compagnia di giunta. Imperterrito.
Per dire, pagina 67 della trascrizione dellinterrogatorio, il pm chiede conto dei 21 milioni dei quattrini finiti a Londra e che non si trovano più: «... e dove sono andati a finire questi soldi, in tasca a chi, dottore Angelini, siamo sinceri». Angelini: «Siamo sinceri, chiede conto a Zelli (ad della Humangest, del gruppo Angelini, ndr) perché a me non sono tornati». Lui non ne sa niente. E i magistrati insistono. Parlano di paradisi fiscali, di conti off shore. Dopodiché, pagina 73: «Le posso fare una domanda diretta (...) perché lei è libero e padrone, perché ripeto avevamo parlato di informazione di garanzia in relazione alla delibera, poi se ce li vuole dare questi chiarimenti, noi stiamo andando avanti, li troveremo, ma sono serviti questi soldi per creare dei fondi occulti, dei fondi neri con cui lei, come dire, in qualche modo ha dovuto...». La risposta di Angelini non lascia dubbi: «Questa tesi lho sentita in giro, ma no, assolutamente no». Poi è lui, Angelini, a sostituirsi al magistrato: «Una domanda la vorrei fare io. Ma a che mi serviva creare dei fondi occulti? Fatemelo capire, perché avrei dovuto avere bisogno di fondi occulti da dare, immagino, a qualcuno che doveva darmi delle contropartite, quando per quello che mi riguarda non solo io ho avuto strettamente quello che mi spettava (...)». Davanti alla risposta secca di Angelini, irrompe il procuratore Trifuoggi. «Lei dice perché avrei dovuto? Perché? Perché a volte anche per ottenere il riconoscimento dei propri diritti, quando ci si trova di fronte a certi personaggi la storia della concussione ambientale creata a Milano, ma come forma giuridica, ma esistente di fatto, purtroppo è così, ci sono tante situazioni che non si sbloccano, dal rilascio della concessione edilizia per fare il canile (...) sino a cose ben più grosse (...)». E dunque. «Lei esclude di aver mai anche solo, non sto parlando di sue corruzioni, non sto tendendo a farle confessare chissà che cosa, ma anche per ottenere quello che le era dovuto, anche per sveltire i tempi, per accorciare i tempi, per ottenere una firma sotto una delibera». Nonostante la spiegazione articolata, nonostante la dotta illustrazione su come gira il mondo dai tempi di Mani pulite, limprenditore è irremovibile: «No, signor giudice». No? «Lei non ha mai dato niente a nessuno?» incalza duro Trifuoggi. «No, no, no. Oltretutto chi si occupava specificatamente per me di queste cose, al cento per cento, era la signora dInnocenzo (quella che rivelerà ai carabinieri del Nas le irregolarità del gruppo Angelini alla base della richiesta darresto per limprenditore formulata in uninformativa dagli stessi Nas a cui la procura di Pescara non ha dato seguito, ndr)».
Angelini, che da lì a qualche giorno rinnegherà se stesso, dice tre volte «no» allipotesi di concussione. A quel punto il pm cambia bersaglio. Vuole notizie sulle tangenti, e visto che Angelini non è disposto a dargliele, domanda: «Beh, ma avrebbero potuto farlo senza chiederglielo?». E qui la risposta del «signore delle cliniche» è più molle: «No, probabilmente no, però senza dubbio adesso che lì, vedendo le carte dellufficio ho scoperto che ha fatto tante cose che io non sapevo». Trifuoggi non è soddisfatto e incalza ancora: «Non ha mai saputo cose di questo genere?». La risposta è sempre la stessa: «No, assolutamente». Trifuoggi non molla la presa. Chiede, giusto per ipotesi, così per dire, se ha dato soldi a personaggi successivamente coinvolti nellinchiesta. «No».
Finito? Macché. Pagina 90: «Che cosa centrava Del Turco con la trattativa privata per la vendita della clinica?». Angelini: «Probabilmente il fatto che sia la Regione lente appaltante ha un suo valore, evidentemente». La procura si arrende.
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