Angloamericani gelosi degli investimenti cinesi

Solo un paio di giorni fa scrivevamo che la Germania ha tratto un grande beneficio dall’attuale crisi finanziaria. E per questo motivo ha continuato nella sua perseverante rigidità nel non voler toccare nulla (Eurobond e Bce) per cambiare le cose. Ieri Sebastian Mallaby scriveva le medesime cose sul Financial Times. «La Germania ha goduto di flussi di capitale dai Paesi periferici, abbassando il rendimento dei suoi titoli a 10 anni... Uno stimolo monetario che è arrivato proprio nel momento in cui l’economia stava rallentando lo ha reso ancora più efficace. Questa è la versione del flight to quality (acquisto della merce migliore, nda) di cui gli americani già beneficiano grazie alla solidità del dollaro». Insomma, come abbiamo già scritto, la Germania fino a oggi aveva tutto da guadagnare dalla speculazione finanziaria che ha gettato nel cestino i titoli del debito pubblico italiano e ha iniziato a comprare quelli tedeschi a caro prezzo (e dunque a basso rendimento).
Purtroppo per l’Europa, l’attacco all’Italia in realtà, come dicevamo in tempi non sospetti, è un attacco alla moneta unica. E i tedeschi rischiano (anche se per ultimi tra i 17 Paesi dell’euro) di fare la nostra fine. Un primo segnale lo abbiamo visto all’asta, andata quasi deserta, dei Bund di quattro giorni fa. Il tesoro di Berlino pretendeva, come ha fatto negli ultimi mesi, di vendere la sua carta decennale a prezzi altissimi (con rendimenti ridicoli e inferiori al 2 per cento). Il mercato gli ha voltato le spalle. E dopo poche ore, in compenso, la liquidità si è trasferita in America. L’asta dei titoli a sette anni ha visto una domanda eccezionale: 3,2 volte l’offerta, nonostante i prezzi del Treasuries americano fossero elevatissimi. La morale è che gli Usa potrebbero giocare ai tedeschi lo stesso scherzetto, che Berlino sta facendo a Roma.
Bisogna dunque fare un passo indietro e cercare di capire, per quale dannato motivo ci siamo trovati in questa condizione.
La storia si può rendere semplice. Tutto parte dalla grande crisi subprime anglosassone del 2008 («la madre dell’attuale tempesta» ci ha detto Corrado Passera, quando ancora faceva il banchiere). Gli States per uscirne fuori hanno iniziato a stampare moneta a più non posso e a trasferire i debiti privati in debito pubblico. Il gioco è semplice. Lo stato si accolla le passività di banche e privati ed emette titoli di stato che vengono comprati dalla banca centrale (da quelle parti la Fed non si comporta certo come la Bce). Il meccanismo ha però un pesante effetto collaterale: e cioè quello di deprezzare il valore della moneta americana. Il dollaro rischiava di essere pesantemente svalutato. Banalizziamo: a forza di produrre una merce (il dollaro, appunto) il suo prezzo si riduce.
In concomitanza con queste politiche monetarie americane, l’immensa riserva di liquidità detenuta dai Paesi emergenti e soprattutto asiatici ha iniziato a diversificare il rischio. E cioè a comprare attività finanziarie in euro. D’altronde se compro una casa o un titolo in una moneta che rischia di perdere valore, è ragionevole temere che la medesima casa e titolo perdano di pari passo valore. Ci ricordiamo bene le grandi polemiche ad esempio dei Paesi arabi nel voler vendere la loro preziosa merce (il petrolio) in euro. O il comportamento della Banca centrale cinese che iniziò a diversificare le sue valute di riserva cedendo dollari e acquistando euro. Insomma il mondo si stava accorgendo che sarebbe stato più safe avere qualche dollaro di meno in portafoglio e qualche euro in più: se non altro per distribuire in modo più equilibrato il rischio. I cinesi si stima che abbiano 800 miliardi di debito pubblico europeo, di cui 100 in quello italiano.
Non si tratta di un complotto, ma di un legittimo interesse: l’America ha temuto di perdere il suo primato valutario nonché il vantaggio di detenere una valuta riserva di valore globale. L’Europa senza un governo centrale, con una Bce impotente e con l’interesse di breve periodo della Germania di mantenere la sua relativa rendita di posizione, non si sta rendendo conto della guerra finanziaria in corso. La battaglia si conduce sul campo italiano, che è quello più debole e pasticcione. Ma l’attacco è all’euro e alla sua capacità che ha dimostrato negli ultimi due anni di rappresentare una valida alternativa al dollaro.


Fino a quando la Merkel non si renderà conto che l’avversario non lo ha in casa (il lassismo italiano), ma oltre oceano, non ci saranno speranze. E si potrà pure pensare di ritornare al marco forte e stabile, come qualche analisi sta ipotizzando. Eventualità che farà sì che noi, compresi i tedeschi, si sia destinati a giocare per gli anni a venire in serie B.

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