«Durante la prima guerra mondiale, la Camera tolse ai deputati tutti i privilegi, perfino il caffè. Vittorio Emanuele Orlando, ministro e poi presidente del Consiglio, chiese almeno acqua e anice. Il liquore allanice, ritenuto medicamentoso, era usato per sanificare lacqua, garantirne la pulizia e migliorarne il sapore. Da allora, accanto alla fontanella nel Transatlantico, cè una bottiglia di anice, che abbiamo sempre fornito noi». È solo uno degli aneddoti con i quali Marco Trimani, titolare dellEnoteca Trimani (via Goito 20; 064469661), illustra la lunga tradizione di anici nella Capitale. Il consumo risale allantica Roma. Già in epoca pre-cristiana si bevevano con acqua e vino e si usavano per perfezionare il vinum hippocraticum, cura per dolori intestinali e itterizia. A testimoniarne luso, inoltre, alcune scoperte fatte nei collettori del Colosseo e in ville. In realtà, linvenzione è più antica. Scavi a Naipur hanno portato alla luce raffigurazioni che esaltavano le virtù di tali bevande già 7mila anni fa.
Essendo una pianta molto diffusa, lanice, nelle sue diverse tipologie, è alla base di liquori in tutto il Mediterraneo. Tra i più famosi, pastis francese, anìs spagnolo, ouzo greco, raki turco, mistrà, sambuca e tutone italiani. «Sono liquori popolari, di largo consumo - prosegue Trimani -. A Roma i più apprezzati sono mistrà e sambuca. Il primo, di origine bresciana, è diventato un prodotto tipico capitolino, così diffuso che un tempo era in ogni casa e oggi è usato per correggere il caffè. La sambuca, nata a Civitavecchia, è comunemente offerta nelle osterie per aiutare i commensali a digerire portate e conto». Mistrà e sambuca non potevano che essere due dei prodotti di punta della storica azienda romana Pallini che, attiva da oltre 130 anni, concentra negli anici oltre il 70 per cento della produzione (via Tiburtina 1314; 064190344). «Nel nostro paese - spiega Micaela Pallini, vicepresidente - soprattutto nel centro-sud i liquori allanice sono molto diffusi. Si preparano triturando i semi della pianta, mettendoli in infusione nellalcol per estrarne pure le essenze profumate, poi si passa alla distillazione. Il mistrà è fatto quasi esclusivamente di acqua e anice, senza zucchero. Piace molto agli uomini che lo gustano nel caffè, liscio o con ghiaccio». Anche storicamente è un gusto «maschile». Veniva dato ai soldati che andavano in guerra, come racconta lottocentesca ballata «La partenza del crociato» di Visconti-Venosta: «La sua bella che abbracciollo gli diè un bacio e disse: Va! E poneagli ad armacollo la fiaschetta del mistrà». «Le donne - continua Micaela - prediligono la sambuca romana, dolce e dal bouquet profumato. Accanto alla classica bianca, proponiamo la nera, con liquirizia. Non mancano gli assenzi».
Proprio lassenzio è tornato prepotentemente di moda tra i giovani per la sua tradizione «maledetta». Si racconta fosse bevuto dai gladiatori prima dei combattimenti. Era la «fata verde», musa di Baudelaire, Verlaine - «assenzio: giorno e notte assenzio» - Toulouse-Lautrec, Hemingway - «Laltra sera sono stato abbracciato dallassenzio» -, Van Gogh e Wilde. «Lassenzio conquista limmaginario prima del palato, la cultura prima del gusto - commenta Daniele Iannotta, uno dei proprietari di Absinthe (via Negri 39; 0657300144) -. Ne abbiamo 13 tipi. Si beve alla parisienne, acqua gelata viene versata su una zolletta di zucchero posta su unapposita paletta. Ma anche flambé, liscio o in cocktail».
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