La vestale della autentica cucina romanesca si racconta in un volume che gronda sapori e  sincerità, come tutti i suoi piatti. «Al dente come Anna» è il libro scritto da Anna Dente (Add  editore, 190 pagine, 15 euro), l'ostessa - chef è una parola che non ama e che del resto non le  si addice - dell'Osteria di San Cesario di San Cesareo, paese della campagna prenestina a una  trentina di chilometri da Roma. Un locale nato nel 1995 in un epoca in cui si celebravano gli  ultimi colpi di coda della nouvelle cuisine e nei quali ci voleva davvero lungimiranza e anche  un po' di coraggio per riproporre una cucina sapida come quella romanesca con rigore filologico. Anna Dente, supportata dal figlio Emilio, decise di puntare tutta la posta su questa scommessa e  oggi, sedici anni dopo, è celebrata da tutte le guide, anche da quelle più paludate, come una  delle vere interpreti della riscoperta della tradizione in Italia. Ruolo che lei interpreta con  irresistibile ironia, con quella sua faccia da «un po' c'è e un po' ce fa» che la rende  simpatica, oltre che molto brava.
 Nel libro Anna, nata il 25 dicembre del 1943, il penultimo Natale di guerra, racconta tutta la  sua vita, attraversata come un corposo fil rouge dal cibo. Sin da giovane Anna lavora nella  norcineria di famiglia a San Cesareo a fare «sarcicce» e aiuta papà Emilio nella coltivazione  della spettacolare uva Italia nei suoi campi. Nel frattempo Anna coltiva la passione della  cucina, rito che per tradizione familiare e campestre è spiccatamente comunitario. Nel libro  Anna racconta quando preparò cento chili di rigatoni «co' la pajata» che il padre e il marito  distribuirono allo stadio Olimpico ai tifosi biancocelesti in occasione di Lazio-Juventus del 17  febbraio 1974: una mangiata che portò decisamente fortuna. La Lazio vinse 3-1 una partità tra le  più importanti nel cammino verso il primo scudetto.
 Poi, nel 1995, il grande salto. La decisione di aprire un'osteria nel cuore della campagna  romana, consacrata al culto della cucina romano-laziale del cosiddetto «quinto quarto», ovvero  degli scarti della lavorazione di bovini e suini: frattaglie, interiora, elementi poco nobili e  per questo spesso alla portata del popolino, che facendo di necessità virtù ne ha tratto  capolavori come la pajata, la vaccinara, le animelle, la coratella. Gli inizi furono stentati,  ma in pochi anni arrivò il successo. «Poi arrivarono i romani - scrive Anna - . Prima gli  anziani che mi facevano emozionare dicendomi che non speravano più di mangiare questa cucina. Poi arrivarono i giovani. Prima i "borgatari", poi quelli del centro e i pariolini. Anche loro  mi dettero grandi soddisfazioni. Poi iniziarono ad arrivare i giornalisti dei quotidiani romani,  poi le guide, le televisioni. E così vennero tutti, da tutto il mondo».
 E se il mondo va da Anna, anche Anna va nel mondo, nominata sul campo anbasciatrice della cucina  romana. Va in Spagna, a Francoforte, a Los Angeles, a Bruxelles, in Qatar, a New York, a Hong  Kong. Ovunque Anna viaggia accompagnata da chili di prodotti tipici laziali e da quel suo  sorriso di chi non si sorprende di nulla, trovandosi a suo agio con il più comune dei clienti  come con Woody Allen, in fila per la sua amatriciana e da lei non riconosciuto.
Insomma, «Al dente come Anna» non è il solito libro di cucina, anche se in coda riporta un piccolo campionario di ricette romanesche nell'interpretazione di Anna e con il commento storico del figlio Emilio Ferracci.