Prima e dopo la firma le due frasi più terrificanti. La firma, per inciso, è quella di Dario Franceschini, traghettatore pro tempore del Partito Democratico. La frase prima è «La saluto, augurando ogni bene a lei e ai suoi cari». Quella dopo è «Se vuole rispondere e dirmi come la pensa può farlo scrivendo a...». Anna Maria Andreis, genovese destinataria della missiva, probabilmente non lo farebbe comunque di rispondere, se non per usare parole di fuoco nei confronti di chi le scrive. I «suoi cari» invece sono assai tentati di prendere carta e penna, o di impugnare la tastiera del pc scegliendo lindirizzo mail. Poi il marito, Gianbattista De Paoli, ci ragiona e commenta: «Non sono capaci di governare un computer, figurati il Paese». Perché Anna Maria non cè più. Non da ieri, purtroppo, non da un mese. Ma da oltre sei anni.
Eppure Dario Franceschini le scrive per chiederle il voto, visto che in passato con le firme dei morti almeno nella presentazione delle liste era andata bene. Gli elenchi del Pd risalgono quasi al secolo scorso. Neppure il caso della pubblicità elettorale ai morti, per la verità, è una novità assoluta, anche se certi ritardi negli aggiornamenti vanno oltre limmaginabile. Però, proprio perché in casa Pd (e prima Ds e Margherita) sanno di rischiare certe figuracce, la lettera del leader stavolta poteva essere almeno un po più cauta. Considerando la possibilità di spedire una missiva del genere a persone decedute, certe espressioni, von un minimo di accortezza sarebbe state evitate. Perché in poche righe, lerede di Walter Veltroni è riuscito a scrivere a una signora morta da anni cose tipo: «La vita si è fatta ancora più difficile. Sa perfettamente di cosa parlo». Oppure: «Magari si vorrebbero aiutare i propri figli o i propri nipoti (...) finalmente vederli sereni e soddisfatti». Persino «Si temono sempre gli imprevisti». Ci sarebbe da ridere se potessero essere considerate battute.
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