Da Annapolis parte il negoziato che dovrebbe sciogliere i tre nodi fondamentali del processo di pace israelo-palestinese.
Gerusalemme I palestinesi la chiamano Al-Quds, per gli israeliani è Yerushalaym. Luogo simbolo delle tre religioni monoteiste, Gerusalemme è uno dei nodi chiave su cui da più di mezzo secolo si arena ogni negoziato. Nel 1967 l’esercito israeliano conquistò la zona est della città, cuore dei Luoghi Santi. Da allora la comunità internazionale la considera territorio occupato. Il ritiro di Israele dalla parte orientale di Gerusalemme, che diverrebbe la capitale del nascente stato palestinese, è una delle condizioni alla base del piano di pace saudita. L’ipotesi ha suscitato la ferma opposizione dei partiti di destra della Knesset, pronti a provocare la crisi di governo e ostili anche ad un’eventuale regime di amministrazione congiunta del cosiddetto "bacino sacro". Nel vertice di Camp David del 2000 il presidente Clinton propose la formula delle "zone ebraiche agli ebrei e zone arabe agli arabi". In virtù di questo principio, Tel Aviv cederebbe la sovranità sui soli quartieri palestinesi, conservando il possesso delle numerose colonie israeliane insediate nella zona orientale.
Profughi Sono circa 4 milioni e 300 mila i profughi palestinesi secondo le stime ufficiali delle Nazioni Unite: protagonisti di una diaspora nella quale la condizione di profugo si tramanda eternamente di padre in figlio. Il dramma delle generazioni della "Nabka", la "catastrofe" dell’esodo palestinese, ha origine con il conflitto arabo-israeliano del 1948. I rapporti ufficiali parlano di 750-900mila unità nel 1950: una cifra cresciuta esponenzialmente di anno in anno poichè lo status di rifugiato si estende anche al coniuge e ai discendenti. Ad essi si sono aggiunti gli sfollati della guerra del 1967, che condusse all’occupazione della Cisgiordania e della striscia di Gaza, e quelli dell’invasione libanese del 1982.
Oggi i tre quarti della popolazione palestinese sono costituiti da profughi, ma solo il 5% di loro è nato in Palestina. La maggioranza è disseminata nei dintorni della frontiera israeliana, non molto lontano dalla terra di origine (1 milione e 850mila in Giordania; 400mila in Libano; 700mila in Cisgiordania; 400 mila in Siria; 1 milione a Gaza). Solo il 30% dei rifugiati registrati vive nei 58 campi creati dall’Onu in Medio Oriente.
Confini Uno stato entro i confini del 1967. È la proposta centrale che il team di negoziatori palestinesi intende presentare sul tavolo del negoziato. In virtù di questa ipotesi, che poggia sulla risoluzione Onu n. 242, la frontiera arabo-israeliana verrebbe tracciata sulla Linea verde del cessate il fuoco del 1949. E Israele sarebbe costretto al ritiro da tutti i territori occupati all’indomani della Guerra dei Sei Giorni. Il governo di Tel Aviv, disponibile ad un approccio graduale, non si oppone alla linea verde come base di partenza del negoziato. Ma il punto cruciale è lo scambio di "terra contro terra" reso necessario dalla cospicua presenza di colonie ebraiche in Cisgiordania: avamposti con una popolazione di oltre 430mila unità, frutto di un insediamento mirato e dislocati in zone chiave per il controllo delle risorse idriche del paese.
La soluzione israeliana si basa sulla formula "terre arabe agli arabi e terre israeliane agli israeliani" già presente nel piano Clinton.
In virtù di questo accordo, a fronte dell’annessione degli insediamenti ebraici più grandi, Israele rilascerebbe aree equivalenti fino al 100% dei territori occupati nel 1967. Un passaggio sicuro, sotto controllo palestinese e sovranità israeliana, unirebbe la Cisgiordania alla striscia di Gaza, assicurando al nuovo stato l’indispensabile continuità territoriale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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