Gli anni bui di Tangentopoli finiscono a teatro

Luca Telese

da Roma

Il palco è sovrastato da un labirinto (kafkiano) rovesciato, che incombe sugli attori come un’immensa incudine. Ma a parte quella macchia di muratura bianco sporco - lassù - la scena è nera, tetra, scurissima, giusto ombreggiata da un drappo nero appena distinguibile. Sullo sfondo, a metà della rappresentazione si materializza perfino una ghigliottina e ad un tratto, nel buio esplode il tintinnare delle monetine, evocazione acustica, ma carica di significati simbolici: Tangentopoli.
Proprio davanti al pubblico troneggia un leggìo di marmo, imponente, lapidale, ogni tanto dal cielo piovono pagine di giornali: ed è in questa cornice volutamente cupa e apocalittica che ieri nel teatro Quirino si è materializzato un dialogo per «voci e ombre», la spoon river di Mani pulite, ovvero la ricostruzione dell’inchiesta più importante della storia della Repubblica come la vede Stefania Craxi. Nella buona e nella cattiva sorte (koinè, 15 euro) è nato come libro, nel 2005, ed è oggi diventato un monologo teatrale. Un atto unico affidato alla regia e alla voce di Ottavia Fusco, dopo che le due donne erano state messe in contatto dal vero demiurgo di questo progetto di contro-memoria militante, Pasquale Squitieri. Un monologo che atttraverso un impasto di voci, suoni, sigle di telegiornali, lettere di suicidi, atti giudiziari, dichiarazioni di magistrati - recitate come testimonianze fuori campo da due narratori come Giorgio Albertazzi e lo stesso Squitieri - si abbattono sul pubblico in platea, lo attraversano, lo confondono, restituendo un clima di angoscia e terrore. Ieri Stefania scherzava: «Sì, ho organizzato un girotondo craxiano». Già, perchè malgrado la liturgica teatralità della messa in scena il pubbblico di questa inedita serata di gala è stato convocato con email, sms, una manchette su Il Messaggero. Stafania a volte sa essere algida: «Bobo? Non l’ho invitato perchè non è nella mia mailing list». E non ha invitato neanche i dirigenti delle mille diaspore socialiste. Solo le amiche come Margherita Boniver e Chiara Moroni (che però era a Milano). È arrivata invece donna Assunta Almirante, con tre persone al seguito. E il tam tam è stato tale che la deputata di Forza Italia scherzava con una amica che al telefonino si rammaricava di non esserci: «Meglio così. I 930 posti sono già esauriti, è la prima volta che mi capita di gioire per una persona in meno».
Sulla scena i piani narrativi e temporali si intrecciano: ora a parlare è una donna, una vedova, adesso un uomo che compila la sua struggente lettera di addio alla moglie, Gabriele Cagliari: «Cosa ti posso dire, Bruna, avevamo promesso di mettere da parte mille giorni della nostra vita, posso darti solo questo attimo». E poi tutti i demoni che Stefania ha inseguito e raccontato in quella stagione: «I giornali in mano a dei padroni che sono direttori d’orchestra», «L’avviso di garanzia, che è solo garanzia di trovare le telecamere», «Il bombardamento mediatico», i «titoli spettacolari», «il golpe», le parole di Bettino nel suo celebre discorso alla Camera, frasi che si avvolgono su stesse come in una danza ossessiva: «Gli innocenti? Sono colpevoli non ancora puniti». Il Processo a K. che si confonde con la cronaca, la voce di Ottavia-Stefania ogni tanto esplode in un atto di accusa: «Voi costruite colpe che si adattino alle leggi». La Craxi racconta Mani pulite come un olocausto o un genocidio.

E se glielo fai notare ti risponde con tre cifre: «Perché, non fu così? 25mila processi, 4mila uomini in carcere, 42 suicidi. Questo lei come lo chiama?». E quello che ha sulle labbra sembra un sorriso, anche se non lo è.

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