Annientare i pirati? È facile: basta volerlo

Ai pirati somali ieri è andata male. La fregata leggera francese Nevose, che fa parte della forza navale europea al largo del Corno d'Africa, ne ha catturati 11 a bordo di una «nave madre». Li ha seguiti e poi si è lanciata all'assalto quando i banditi del mare erano a 900 chilometri a est di Mombasa, al largo delle coste keniane. Sempre ieri sono falliti altri due attacchi, a un mercantile liberiano e a una nave americana, la Liberty Sun. L’imbarcazione Usa è stata colpita con razzi e armi leggere, ma ha evitato l'abbordaggio, mentre in suo soccorso muoveva una nave da guerra statunitense, la Bainbridge, la stessa del blitz che ha portato alla liberazione del capitano-eroe Richard Phillips. Questa volta i pirati sono fuggiti prima dell'arrivo dell'unità militare.
L'ondata di attacchi però non si ferma. E l'inviato dell'Onu per la Somalia, Amhedou Ould-Abdallah, ha sentito il bisogno di dichiarare alla Bbc che gli assalti minacciano la pace internazionale, che il ricorso alla forza per autodifesa è legittimo, ma che non è il caso di intervenire contro le basi dei pirati... per il momento.
In realtà il rischio che qualcuno decida di affrontare alla radice il problema proprio non c’è. Perché, sempre per il momento, la comunità internazionale è il grande assente dalle coste somale. Americani e francesi hanno dimostrato determinazione nella soluzione di vicende singole. E lì si sono fermati. L’operazione di pattugliamento internazionale in corso non sembra più di tanto incisiva. Il risultato è che il mondo è alla mercé di qualche centinaio di banditi improvvisati e male armati. Il bene minacciato dai pirati è essenziale, la libertà di navigazione. I danni economici non sono più trascurabili. In passato è bastato molto meno perché si dichiarassero e combattessero guerre sanguinose.
In questo caso non c'è neanche una controparte statuale, anzi, quel poco che esiste di governo somalo ha dato carta bianca a chiunque se la senta di estirpare la pirateria dalle coste del Paese. Non mancano le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu che vengono regolarmente invocate per giustificare qualunque tipo di intervento armato, compreso il rovesciamento di governi. E dal punto di vista umanitario, le prime vittime dei pirati sono le popolazioni somale, le quali rischiano di rimanere prive dei generi di prima necessità garantiti via mare dal Fondo alimentare. Ci sono gli estremi per una azione di ingerenza. Ma i governi di mezzo mondo non riescono ad assumersi le loro responsabilità.
Tutti i principali Paesi, dalla Cina alla Russia, dal Giappone agli Stati Uniti, dall'India all'Europa sono già impegnati militarmente nella «mission impossible» di proteggere i traffici marittimi. Ma anche se fosse possibile schierare un numero triplo di navi e di aerei non si riuscirebbero a bloccare gli attacchi, almeno non fino a quando i pirati saranno trattati meglio di un qualunque altro criminale.
L’unica strada allora è quella che si prenda coraggio e si stronchi il problema alla radice, sulle coste somale. Senza occupare neanche un lembo di terra africana. Quello che occorre viene chiamato dai militari «colpo di mano anfibio». Le forze non mancano, anzi. Anche l'Italia ha tra i suoi reparti di punta una brigata anfibia interforze. Sono formazioni di élite, specializzate, costosissime. Che senso ha mandare queste truppe tra le montagne dell'Afghanistan e non impiegarle nei loro compiti istituzionali? Si tratta dunque di effettuare una o più operazioni mirate, colpendo di sorpresa le basi con assalti condotti simultaneamente dal mare e dal cielo.

Le truppe anfibie dovrebbero neutralizzare i pirati che opponessero resistenza, distruggere le «navi madre» e i mezzi veloci, liberare gli ostaggi e le navi catturate. Come si è fatto per secoli contro i pirati. Si può fare. Basta volerlo.

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