Ansaldo, reportage dal cuore del ’900

Di Giovanni Ansaldo non rimangono solo una gran quantità di articoli e alcuni libri eccellenti, fra cui il capolavoro Il ministro della buona vita. Giovanni Giolitti e i suoi tempi (Le Lettere). Giornalista fra i maggiori del Novecento - secondo Montanelli «forse il più grande giornalista d’ogni tempo, e non solo italiano» - dal 1925 al 1969 Ansaldo scrisse oltre 15mila pagine di diario, finora pubblicate solo in parte. Del resto, ebbe una vita avventurosa, per un uomo che amava soprattutto scrivere e, ancora di più, dirigere giornali.
Nato a Genova nel 1895, dalla famiglia fondatrice dei cantieri omonimi, combatté tutta la Prima guerra mondiale e fu subito antifascista, diventando famoso, giovanissimo, per i suoi articoli dallo stile inconfondibile su La Rivoluzione Liberale, sull’Unità e sul Lavoro, quotidiano della sua città che, in pratica, dirigeva. I diari di quegli anni - come gli altri pubblicati postumi - sono stati raccolti con il titolo L’antifascista riluttante. Memorie dal carcere e dal confino. 1926-1927 (il Mulino). Riluttante davvero, benché condannato appunto al carcere e al confino: non fu soltanto la sua voglia di continuare a scrivere che lo spinse ad avvicinarsi al regime fino a diventare direttore del Telegrafo, quotidiano livornese allora importantissimo, perché di proprietà della famiglia Ciano. I diari di quegli anni sono stati pubblicati con il titolo, ingiusto e infamante, Il giornalista di Ciano (il Mulino), seguiti dal Diario di prigionia (il Mulino). Già, perché Ansaldo, volontario nella Seconda guerra mondiale, rifiutò poi di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e venne internato in campi di concentramento nazisti.
Alla fine della guerra si ritirò nell’amata campagna toscana, e a quel periodo risalgono Anni freddi. Diari 1946-1950 (sempre il Mulino). Ma la voglia di continuare a scrivere e dirigere era tanta, e nel 1950 - passata l’ondata di intransigenza post-resistenziale - ebbe la direzione del Mattino, che avrebbe reso il più importante quotidiano del Meridione dirigendolo fino alla morte, nel 1969.
Di quegli anni non sono stati ancora pubblicati i diari (già li pregustiamo), ma è appena uscita una succosa anticipazione/estrapolazione, Stenografie di viaggio (Aragno, pagg. 430, euro 23, con un’eccellente prefazione di Giuseppe Marcenaro). La prima pagina anticipa l’interesse per le annotazioni di quegli anni. Il 1º dicembre 1951, sul punto di partire dalla città «dove tutto è possibile, ma niente è sicuro», Ansaldo scrive: «Ho deciso, partirò per l’Egitto. Mi voglio togliere per qualche giorno da questa palude di giornale. \ Da quando sono approdato all’Angiporto non ho avuto che rogne: i processi alle intenzioni da parte di Scelba e Arcaini, i lamenti di Don Sturzo, \ i tremori di quelli del Banco, le lusinghe di Lauro, i sotterfugi di Assante, le linotypes che si guastano e il piombo che manca, i redattori... lasciamo andare».
Dopo il viaggio in Egitto, seguono quelli in Germania e negli Stati Uniti (1954), in Portogallo (1955), India (1959), Unione Sovietica (con l’allora presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, 1959) e Gran Bretagna (1960).

Se un lettore mi dovesse chiedere perché dovrebbe interessarsi ai ricordi di viaggio, ormai antichi, di un giornalista scomparso da quattro decenni, la risposta è facile: perché ogni pagina - di grande scrittura - è un fuoco pirotecnico di osservazioni, dettagli, città, idee, ironie, uomini, narrati con l’eleganza di un elzeviro, la corrosività di un corsivo, la capacità analitica di un editoriale: commenti mai banali, sempre godibili e dunque sempre attuali.
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