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(...) di struggimento e meraviglia in chi guarda, come se il suo letto, la sua sedia, la sua pipa, oltre che le famose scarpe, parlassero non solo di storie personali, ma anche di archetipi universali.
Una svolta del genere non poteva lasciare indifferenti i filosofi e il tedesco Heidegger, nel saggio del 1950 L'origine dell'opera d'arte, rielaborazione di una conferenza del 1935, si serve di Un paio di scarpe dipinto da Van Gogh nel 1886, per arrivare alla definizione dell'essenza dell'opera artistica. In altre parole: fino a quando si sostiene che l'artista è l'origine dell'opera d'arte e che a sua volta l'opera d'arte dà origine all'artista, va tutto bene, ma apriti cielo quando, analizzando le scarpe ritratte da Van Gogh e domandandosi cosa rappresentino, Heidegger le identifica con quelle di un contadino, scarpe «nel cui massiccio pesantore della calzatura è concentrata la durezza del lento procedere lungo i distesi e uniformi solchi dei campi». L'americano Meyer Schapiro si sente toccato nel suo ruolo di storico dell'arte ed esperto del pittore olandese e, per niente d'accordo, replica infiammato e furibondo che quelle scarpe sono quelle del pittore, altro che contadino!, ma se anche fossero state di qualcun altro Van Gogh, dipingendole, idealmente le aveva fatte proprie.
Sembra strano accapigliarsi per una questione all'apparenza tanto marginale, eppure in gioco c'erano due diverse concezioni dell'arte: ad Heidegger premeva arrivare all'essenza dell'arte, alla sua verità originaria oggettiva, libera dalla soggettività dell'artista, per Schapiro al contrario era fondamentale affermare quanto un dipinto fosse espressione profonda della personalità dell'autore.
Uno scontro che non si è concluso al primo match, tra filosofo e storico dell'arte, ma che è andato avanti fin quasi ai giorni nostri, quando nel 1978 è intervenuto il filosofo francese Jacques Derrida, parecchi debiti di formazione con Heidegger e altrettante numerose divergenze. Nel saggio La verità in pittura, Derrida bacchetta sia Heidegger che Schapiro, e introduce il sospetto che tutti e due, attribuendo chi al contadino chi al pittore la «proprietà» delle scarpe, non avessero fatto altro che appropriarsene per imporre la propria competenza, filosofica o di studioso dell'arte, nell'interpretazione del quadro. Chiarissima la posizione di Derrida a concludere della polemica: «Queste scarpe non appartengono a nessuno, non sono né presenti né assenti, ci sono delle scarpe, punto e basta».
(Per inciso: in questi quadri ci sono scarpe che ricordano un celebre modello Clarks degli anni Settanta e altre con la suola disegnata da chiodini in rilievo che sembrano le antenate di una scarpa made in Italy griffata Tod's).
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