È un regista capace di incuriosire Giuseppe Marini, artefice di fortunati lavori quali Una casa di bambola e Sogno di una notte di mezza estate e autore adesso di unAntigone sofoclea (al teatro della Cometa) che, pur nella sostanziale fedeltà al testo, intende proporre chiavi di lettura e percorsi interpretativi molto originali. «Si tratta - spiega Marini - di uno spettacolo sul dolore, sulla morte, su concetti complementari come il sommo bene e il sommo male. Gli aspetti politico-ideologici della tragedia sono innegabili ma cerco di andare oltre, di non fermarmi allevidenza».
Primo segnale emblematico a tal riguardo è la scenografia del lavoro (la firma Alessandro Chiti): Tebe diventa qui «una città-loculo di cemento grigio che rimanda lidea di un cimitero cupo e silenzioso votato ad accogliere voci sofferenti e sofferte, aneliti di trascendenza, ineluttabili presagi funebri». Dentro questo recinto compassato e solenne si consuma la tragica vicenda della combattiva figlia di Edipo (decisa a tutto pur di seppellire il fratello Polinice, ucciso da Eteocle alla fine di un drammatico conflitto fratricida per la conquista di Tebe), una donna ancora troppo bambina che il regista vede come una femminilità irrisolta e condizionata dal passato. «Antigone - continua - è, etimologicamente, colei che non genera, una donna che rinuncia ad Eros, che rinnega la madre e che sente lurgenza di dare sepoltura al figlio di suo padre». In questottica, Antigone si rivela dunque una personalità conflittuale che possiede tuttavia «aspetti di forte modernità, in quanto portatrice di una libertà di coscienza assoluta. Una libertà che non trova radice nel contrasto politico con Creonte ma che risponde, semmai, a tensioni proprie delletà giovanile». Giovane è poi lattrice chiamata a ricoprirne il ruolo (Marta Ferranti) e giovani sono pure gli altri interpreti.
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